INTRODUZIONE [SCHOPENHAUER: LA MUSICA COME SALVEZZA DELL’ANIMA]
La sofferenza è come un lungo viaggio.
Esattamente come un viaggio; ogni passeggero è differente, ogni passeggero ha una destinazione diversa dagli altri e un mezzo più veloce o più lento con cui raggiungere la propria meta.
La sofferenza è un vortice nello stomaco che trascina in una turbolenta esperienza fatta di alti e bassi.
C’è chi ha bisogno di più tempo per raggiungere la serenità e chi riesce ad essere più rapido e reperire strategie migliori per conseguire il proprio benessere, ed uscire dal suo loop di tristezza e agonia.
Schopenhauer è tra i maggiori esponenti del pessimismo cosmico che sembra travolgere ogni individuo senza una reale fine. È realmente così? Siamo davvero destinati a soffrire per tutta la nostra esistenza?
In questo elaborato, esattamente come un viaggio, ho voluto analizzare le varie tappe, di cui Schopenhauer parla, riguardanti la sofferenza per poter raggiungere la salvezza dell’anima come fine ultimo. Più nello specifico, ho voluto indagare la ripresa del proprio benessere dopo una situazione di alterazione di coscienza che potrebbe essere causato da viaggi astrali, meditazione, sostanze psichedeliche e ipnosi.
Nel primo capitolo sono partita dalla domanda principale di Schopenhauer, ossia: “perché vivere è essenzialmente un soffrire?” Ho spiegato la visione del mondo per il filosofo la quale sostiene che il mondo è come volontà e rappresentazione: la rappresentazione è come il mondo ci appare mentre la volontà è un qualcosa che va oltre ciò che conosciamo, irraggiungibile.
Schopenhauer ritiene che la realtà del mondo sia una cieca volontà di vivere: nelle azioni l’unico desiderio presente è quello di voler esistere. Le azioni, dunque, non sono altro che l’impulso incontrollabile di questa spietata voglia di esistenza causata dalla volontà.
Il valore che la volontà cieca genera in questa battaglia è eterno ed inesauribile: anche cambiando la società, le sofferenze del singolo non sparirebbero. Non si scappa da ciò che si ha dentro.
Partendo dal suo pessimismo cosmico, ho voluto proseguire con l’influenza della filosofia stoica nel suo pensiero: l’etica stoica insegna ad agire secondo la ragione per raggiungere la felicità e quindi il riferimento che viene illustrato non è tanto la virtù bensì la felicità, ovvero “come vivere meglio”. Il fine dell’etica stoica è la felicità ed essa insegna che la felicità la si può trovare con certezza solo nella pace interiore e la calma è possibile trovarla esclusivamente attraverso la virtù; secondo Schopenhauer, lo spirito dell’etica stoica ha origine nel pensare che viene visto come grande privilegio dell’uomo e quindi egli considera l’etica stoica con una condotta dettata dalla ragione e di ciò che può compiere. Ma non sempre è possibile rimanere lucidi e razionali quando si sta soffrendo.
Nel secondo capitolo ho voluto affrontare l’influenza della tradizione orientale, la quale per Schopenhauer è stata di vitale importanza per il raggiungimento delle sue conclusioni, e che ha influenzato anche me in questa analisi verso la cura dell’anima.
Schopenhauer viene profondamente ispirato dal buddismo e l’induismo nella comprensione che la compassione è un punto focale per raggiungere la serenità: per il filosofo, infatti, il comportamento dell’uomo compassionevole appare direttamente associabile a quello dei grandi asceti, e tutti i comportamenti di questo genere vengono intesi come espressioni della capacità di “negazione della volontà di vivere”.
Per Schopenhauer la virtù rarissima della compassione è dunque una delle modalità fondamentali per negare la volontà di vivere, in quanto comporta una riduzione massima dell’egoismo che è una delle principali manifestazioni di quella volontà.
Proseguendo, ho fatto riferimento al velo di maya: il mondo non è così come lo si vede e l’uomo non vede realmente il mondo. Ciò significa che l’individuo, per Schopenhauer, vede il mondo come lo desidera e non come realmente è.
Schopenhauer definisce la vita come una lotta continua contro la morte che porta poi alla deriva e questo viaggio verso l’illuminazione procede verso il culmine che ognuno di noi può raggiungere attraverso la riflessione e l’autocoscienza, che riesce ad esprimere l’apice della volontà, sulla base della conoscenza acquisita nell’arco della vita e di cui un soggetto ne ha liberamente preso possesso.
Secondo il filosofo, dopo essersi liberati di questo velo che copre la vera essenza, vi è bisogno di porre altri passi verso l’apice che ognuno di noi può raggiungere per scoprire la realtà e il Nirvana.
L’altruismo fa parte dei punti cardinali per il filosofo: il soggetto egoista ancora prigioniero di questa passione, conosce solo cose singole che si trasformano sempre di più in desideri da raggiungere mentre per l’individuo altruista al contrario, quella cognizione del tutto e quell’essenza delle cose in sé diventa un quietivo della volontà in generale e in particolare, la volontà si distoglie dalla vita e l’uomo arriva allo stadio della volontaria rinuncia e della rassegnazione, ossia la vera calma e quindi si tramuta in soppressione del volere.
Nel terzo capitolo, ho voluto proseguire verso la luce, verso le soluzioni per il benessere dell’anima.
Riprendendo la filosofia schopenhaueriana, ho mostrato come il mondo reale è apparenza e sogno. Anzi, che come medium psicologico rivelativo dei desideri inconsci dell’individuo sognante, Schopenhauer intende il “sogno vero”, autentico medium antropologico, in grado di fornire “una prova sicura del nesso sussistente tra tutti gli esseri”, un nesso più profondo, originario, immediato, che supera ogni separazione fra gli individui.
L’unico criterio sicuro per distinguere il sogno dalla realtà è in effetti quello affatto empirico del risveglio.
Si potrebbe pensare che il mondo reale sia avvolto come un sogno da un Velo di Maya, e che noi stessi non siamo altro che «il sogno di un’ombra».
Alterare il proprio stato di coscienza nelle varie forme citate sopra, potrebbero essere simili a percezioni di rappresentazioni differenti rispetto ciò a cui noi siamo abituati all’interno della nostra visione del mondo, della nostra quotidianità.
Quanto può essere spaventoso tornare ad uno stato di coscienza lucido, dopo aver sbirciato in un mondo fenomenico diverso, alterato?
Nella visione filosofica di Schopenhauer, ci si potrebbe chiedere come possa essere il ritorno nella nostra visione quotidiana della realtà, dopo aver visto rappresentazioni alterate del mondo fenomenico.
Alterare il proprio stato di coscienza potrebbe essere un sogno bellissimo, quanto un incubo spaventoso in base a ciò che ci viene svelato e come le rappresentazioni ci appaiono; è come sognare per poi essere catapultati nella realtà di tutti i giorni.
Ho voluto dunque, analizzare come possa essere una ripresa da un “brutto sogno” o un “brutto viaggio” a causa di stati di alterazione di coscienza.
Il viaggio verso la salvezza dell’anima da qui si fa più burrascoso: se già per Schopenhauer la vita è sofferenza, avere esperienze di modificazione della propria percezione potrebbe essere spaventosa a tal punto che nel ritorno ad uno stato di lucidità, gli strascichi dell’incubo nel momento del risveglio, possono protrarsi anche nella quotidianità.
E da qui inizia il viaggio verso la ripresa della propria serenità, non sempre facile: potrebbero esserci momenti in cui si pensa di star reagendo e di stare meglio, momenti in cui si viene catapultati ancora nelle sensazioni che il brutto sogno ci ha lasciato, o ancora peggio vi son momenti in cui si pensa che tutto è perduto; la sofferenza è troppo forte per poter tornare a momenti stabili e di serenità.
L’anima nel momento della sofferenza, è disperata e chiede aiuto non sapendo più come ritrovarsi, perché sente di essere macchiata.
L’anima sfocia nella figura che Schopenhauer denota come “il folle”. La sofferenza può portare all’esasperazione e al pessimismo cosmico. Ed è qui che inizia il viaggio verso la soluzione; l’arte come terapia.
Per combattere il dolore, la strada che Schopenhauer propone coincide con la liberazione dalla stessa volontà di vivere. Questa liberazione avviene essenzialmente in tre fasi: arte, morale ed ascesi.
L’arte è la forma su cui mi sono concentrata maggiormente: “genio e folle hanno qualcosa in comune: entrambi vivono in un mondo diverso da quello che esiste per gli altri”.
Se la follia è alla base del genio non è tuttavia vero il contrario poiché il genio è necessariamente folle ma il folle non è necessariamente genio, infatti il genio deve avere la capacità di uscire arbitrariamente dall’esperienza contemplativa per poter creare le opere d’arte, mentre il folle, salvo guarigione, non può uscire dalla sua follia. Come può un individuo liberare la propria anima dai suoi mali? Secondo il filosofo, la pace interiore arriva con lo smettere di desiderare ed è un qualcosa che possiamo conseguire attraverso l’esperienza estetica. La luce è un altro elemento importante perché è la più piacevole delle cose, è simbolo di tutto ciò che è buono e benefico, indica la salvezza eterna; l’assenza di luce ci rende tristi, il suo ritorno ci colma di gioia.
Proseguendo in questo viaggio verso l’illuminazione e la cura dell’anima, mi sono voluta addentrare in ciò che rappresenta per me la salvezza assoluta: la musica.
La musica coglie la Volontà nella sua purezza; Schopenhauer, non pone la musica all’interno del sistema delle arti perché diversamente dal resto che vi sta all’interno, le quali rappresentano solo le idee, la musica rappresenta la volontà stessa, è immediata oggettivazione e riproduzione dell’intera volontà; si riferisce all’intima essenza del mondo e del nostro io, questa viene compresa solo nell’intimo di ciascun uomo, ed ecco perché definisce la musica come completamente indipendente dal mondo fenomenico.
SCHOPENHAUER:
LA MUSICA COME SALVEZZA DELL’ANIMA