KARL JASPERS: FILOSOFIA E ESISTENZA
Coordinare cardinalmente le specificità e le peculiarità di un pensiero filosofico impone un notevole sforzo di astrazione, una concentrazione in parte coatta, in parte arbitraria; del tutto incompleta. Per questo l’operazione di accostamento del particolare al generale non può che generare aberrazioni, salti quantici, forzature. Tuttavia, è bene riconoscerne un implicito valore che si riassume nel suo essere punto di partenza: punto da cui iniziare, da cui distanziarsi e a cui tornare; principio da aggirare e superare, benché non da negare senza possibilità di appello. Per questo l’associazione di alcuni filosofi a movimenti di pensiero offre il fianco all’accusa di omologazione: l’individuo mantiene sempre quella forza-limite, quel dislivello che interrompe un principio di continuità, una presunta appartenenza alla corrente.
Questo è pienamente presente se si vuole interrogare la figura di Karl Jaspers. Considerato esponente dell’esistenzialismo, la sua relazione con quella corrente filosofica non fu di piena partecipazione, ma di dialettica e reciproca influenza. Per questo motivo, scoordinare – scardinando l’apparato filogenetico “esistenzialismo” – le coordinate, ascisse e ordinate, ci permette di sincronizzare la sua riflessione con la nostra attualità in presenza di problemi che ben trascendono gli obiettivi di un filosofo che ha vissuto in pieno il Novecento.
Ciò che forse ha caratterizzato più di ogni altro spunto di riflessione il lavoro d Jaspers è stata la drammaticità: la ricerca costante di un pensiero che potesse imprimere movimento, che potesse esso stesso essere inteso come intrinsecamente dinamico. La drammaticità si è fin da subito presentata come dromica, come corsa, come superamento della corrispondenza in primo luogo tra malattia cerebrale e malattia psichica: contro le cosiddette «mitologie del cervello» che vedevano nella struttura fisiologica del cervello la diretta causalità dei disagi psichici. L’immobilismo di un previsionismo assoluto di marca positivista trovava piena realizzazione in quel giochetto aritmetico (What the Tortoise Said to Achilles) pubblicato su Mind (4, 1895) da Lewis Carrol: anche se Achille si trova a sedersi sopra la tartaruga, dopo averla raggiunta, sarà quest’ultima a incastrarlo in una rincorsa senza fine in una serie di paradossi logici… In parole semplici, gli elementi di un insieme si muovono omogeneamente: tanto la tartaruga procede di un passo quanto Achille avanza di altrettanto mantenendo invariate le distanze, così più una patologia psichica emerge, corrispondentemente la causa viene a trovarsi in un dissesto fisiologico. Movimento omogeneo: nessun movimento.
La medesima dromicità del pensiero che si riscontra nella produzione più strettamente filosofica fin dalla Philosophie (1931) in tre volumi dedicata all’analisi delle tre canoniche sfere: mondo (il cui portato filosofico è l’orientazione non scientifica, ovvero non scientista, in esso), anima (che si esplica nella chiarificazione dell’esistenza) e Dio (inteso nella sua trascendenza inesauribile). Questi tre piani si incrociano, si intrecciano e si rimandano; resta, è vero, ancora una topica troppo slegata con una centralità alla situazione-limite e alla soglia più sventagliata che effettivamente promossa. Tuttavia iniziano a affacciarsi sul panorama concettuale del filosofo una serie di ingredienti che indubbiamente ‘forniscono pepe’ alla trattazione e che verranno sempre più approfonditi, analizzati e ricombinati. E questi sono le coppie dei contrari che nella loro compresenza hanno l’obiettivo di portare il pensiero oltre la logica binario-dualistica che ha fatto degli opposti antagonisti in perenne battaglia. Un tentativo di messa in moto delle antinomie kantiane e di un superamento del dualismo autoescludentesi kierkegaardiano: nessun aut-aut tra passione e ragione (Leidenschaft zur Nacht, ovvero passione per la notte, e Gesetz des Tages, cioè legge del giorno), nessuna scelta separante l’Uno e i molti, tra razionalità e misticismo, pluralità e unità, filosofia e teologia. Il tutto trovante perno di rotazione in quella nozione esistenziale di situazione-limite, di soglia invalicabile e per questo abitabile, di spazio ontologico liminale che proprio in quanto tale (e l’in-quanto-tale qui è del tutto metafisico, come sostenuto da Deleuze) apre alla metafisica nozione di cifra, autentica «trascendenza immanente» (Philosophie, Bund III, Metaphysik).
Si badi bene però: il predetto superamento della scelta non deve essere considerato letteralmente, per così dire. La scelta assumerà sempre più la centralità che le spetta nella continua drammatizzazione della riflessione. Probabilmente consapevole delle debolezze delle sue argomentazioni in Philosophie (per quanto lo stesso Jaspers ritenesse il terzo volume, Metafisica, apice di tutta la sua vasta produzione), il suo pensiero subirà un’accelerata notevole a partire dalle lezioni di Groningen del 1935 intitolate Vernunft und Existenz (Ragione ed Esistenza), grazie alle quali farà la sua comparsa, benché assolutamente presente in nuce fin dagli albori del suo filosofare, quella nozione dalla vastità semantica e dalla profondità intraducibile di Umgreifende che troverà sviluppo nella monumentale e incompleta Philosophische Logik (Logica Filosofica, ) di cui ha visto la pubblicazione ultimata del solo volume primo nel 1947 intitolato Von der Wahrheit (Della Verità).
Con tale arduo concetto si spalanca il pensiero e la scelta si tramuta nell’assunzione (Aneignung): ogni inizio è di fatto già iniziato e ogni cominciamento prende l’abbrivio da un suolo, da un luogo già predisposto, all’interno del quale potersi dispiegare così la trama dell’Essere. È questo l’aspetto dell’esistenzialismo incompleto, ovvero la considerazione locativa dell’ek-sistenza che, anziché presentarsi come lo staccarsi scismatico dalla sistenza (ek-sistenza per l’appunto), si sceglie, ovvero assume-su-di-sé, tutto il peso dell’impossibilità della sistenza, dalla quale, per altro, non può staccarsi: l’esistenza allora fa lo stagliarsi, si fa staglio, emersione all’interno di un paesaggio che ne fa da contorno e da condizione di possibilità. Tuttavia, un’esistenza abbandonata a se stessa, alla sua energia passionale, all’irrazionalità della passione per la notte mal si ergerebbe né spiccherebbe dal magmatico e caotico luogo in cui si trova a essere; nessun paesaggio così per l’esistenza. E questo perché il Landschaft impone una forza fissante, una intensità che pone ordine al flusso lavico incandescente.
Come che sia, tale punto fermo non è da leggersi in opposizione alla dromica del pensiero. Anzi, ne è principio dirigente. Difatti, accanto all’ek-sistenza, Jaspers pone la ragione che ne integra complementariamente le debolezze e le univocità: fin dalle prime battute di Vernunft und Existenz si può scorgere il palese tentativo di fronteggiare a viso aperto il grande signore del ‘900: il nichilismo. Un nichilismo troppo pieno assorbito da una ragione saturante (logicismo, positivismo, idealismo, marxismo sono i termini di confronto storici) contrapposto ad un nichilismo troppo vuoto (irrazionalismo, spiritismo, fideismo): entro questi estremi allora si può leggere in filigrana la costruzione teorica del filosofo tedesco. Impianto che può essere sunteggiato in una parola: re-sistenza.
Sarà questo concetto a guidare la sua indagine filosofica, vera metonimia della resistenza, durante la Seconda Guerra Mondiale, isolato, allontanato dalle Università e condannato a morte certa una volta ricevuti i biglietti di sola andata per Auschwitz in quanto sposato con una ebrea, Gertrud Mayer, e ostinatamente a lei fedele (rifiutò infatti di ripudiarla, con tutte le conseguenze del caso). Re-sistenza come sintesi, meglio ancora, come alleanza degli opposti in perpetua lotta amorosa (liebender Kampf): esistenza e ragione sono i lati del nastro di Möbius (che come giustamente fa notare Jacques Garelli rende assai ardua la distinzione tra gli elementi che scivolano l’uno nell’altro; per quanto, è bene sottolinearlo, in Jaspers gli estremi, in quanto modalità dell’Umgreinfende, mantengono comunque una delimitazione ontologica (e qui si registra un interessante spunto che chiede approfondimenti di indagine filosofica mantenendo intatta la sua attualità)), le due ali dell’anima, secondo la pregnante immagine fornita in Philosophie. Compito di una logica filosofica, in quanto logica filosofante che si costituisce nell’atto di costituirsi, è proprio quello di pensare l’Essere, l’Umgreifende a partire dall’Umgreifende stesso all’interno del quale noi siamo e che noi stessi siamo. L’ek-sitenza si presenterà allora come il terreno (Boden) senza il quale la ragione non potrebbe collegare (Band) le varie modalità.
Rielaborazione del nastro di Möbius di Cornelius Escher
In quest’ottica pertanto vanno lette le pagine che dopo il trauma della Guerra dedicherà al problema teologico che, perfettamente presente fin dagli albori del suo pensiero, scoppierà con energia rinnovata. Drammatizzare la Trascendenza, ancora troppo fissa in Metaphysik, corrisponde all’impegno di ripensare il Totalmente Altro alla luce delle categorie acquisite senza ridurlo, senza saturarlo nel saputo, nel compreso, nel creduto. Per questo fede e filosofia, storicamente contrapposte, debbono ritornare a coincidere, a interrogarsi vicendevolmente in quel circolo virtuoso di reciproca condizionalità che trova esito nell’enucleazione del concetto, diretta emissione dell’indeducibile Umgreifende, di philosophische Glaube, ossia Fede filosofica.
Qui si innesta tutta la contemporaneità del suo pensiero nel tentativo antiriduzionista di pensare ciò che esorbita la ragione: pensare l’impensabile, proponendo una logica, benché non sia mai riuscito a portarla a termine, che potesse tenere insieme elementi contrastanti e contrapposti. Possiamo affermare l’aspetto teologico dell’intera sua riflessione come inesausta ricerca di quella completezza, di quell’Assoluto mai perfettamente determinabile entro le strettoie concettuali e possiamo altresì ritenere la ricerca teologica profondamente radicata in seno alla filosofia di cui, a sua volta, ne rappresenta la condizione di possibilità. Questa immensa teologia del pensiero è all’insegna della crisi nell’affermazione potentissima di una immagine che sovra tutte si erge: non il Dio buono, né il Dio vendicatore, ma il Dio fallimentare che trova concretezza trascendente nella figura di Gesù, il Cristo, autentica cifra della Trascendenza e per ciò stesso di già Trascendenza.
Pensare la contraddizione e vivere il contraddittorio sono questi gli architrave del filosofare jaspersiano; filosofare ed esistere nell’assegnazione ontologica di quella con-giunzione coordinante “e” che invita all’approfondimento nella consapevolezza del fallimento naufragante (Scheitern) teo-antropologico: non-può-essere-così eppure non-può-essere-che-così.
Di seguito un estratto tratto da Vernunft und Widervernunft in unserer Zeit (1950) che ben sintetizza questa Vernunftphilosophie (Filosofia della Ragione) in perenne equilibrio crisico tra filosofia ed esistenza:
[a]anche quando si fanno le peggiori prognosi di sfacelo e si prospettano tutte le possibilità negative dell’attuale situazione storica […] la ragione mantiene vivo un dubbio, pur nei casi estremi. Reali esperienze di esisti inaspettatamente favorevoli in situazioni apparentemente senza speranza lasciano tracce profonde. Anche se ciò non prova che tali esperienza potranno ripetersi, sono come fili conduttori che guidano l’atteggiamento di fondo della ragione: a mantenere la tensione; a non far conto su un futuro certo; nel caso più fausto a essere consapevole del male sempre incombente; nel caso apparentemente più disperato a non dimenticare lo spiraglio del possibile, a custodire la speranza; in ogni caso, dopo aver preso ogni possibile precauzione di cui è capace l’intelletto, dopo aver fatta in piena coscienza la scelta della direzione da seguire nell’ambito del possibile, a vivere producendo attivamente – come i contadini del Vesuvio, che portano a maturazione i loro meravigliosi frutti sotto la minaccia incombente del vulcano (Ragione e antiragione nel nostro tempo, p. 77).
L’immagine nel corpo del testo è un rielaborazione di Cornelius Escher, Striscia di Möbius II, 1963, xilografia, cm. 45 × 20.
@ILLUS. IN EVIDENZA by, PATRICIA MCBEAL, 2020
@ILLUS. NEL CORPO DEL TESTO by, FRANCENSTEIN , 2020