LA NOSTRA ANIMA DISPONE DI UNA FORZA PER MUOVERE IL NOSTRO CORPO
Estratto di Denis Kambouchner, Cartesio non l’ha mai detto, Carocci, Roma 2023, cap, XV, pp. 96-101.
– Almeno, a questo punto, non avere nulla da dire, è esplicito!
– Temo di no, non proprio.
– Considerate per esempio la lettera a Elisabetta del maggio 1643 sulle «tre nozioni primitive»: «per l’anima e il corpo insieme», noi abbiamo la nozione «della loro unione, dalla quale dipende quella della forza che ha l’anima di muovere il corpo»[1]. La stessa cosa in una lettera del 1645: «Nell’uomo, (..] l’anima (..] ha qualche forza per cambiare le impressioni che sono nel cervello»[2]. E per un quadro particolareggiato, aprite Le passioni dell’anima: «Quando si vuole immaginare qualcosa che non si è mai vi-sta, questa volontà ha la forza di far sì che la ghiandola [la piccola ghiandola pineale che si trova in mezzo al cervello] si muova nel modo richiesto per spingere gli spiriti verso i pori del cervello attraverso la cui apertura tale cosa possa essere rappresentata »[3]. E già, nel Trattato sull’uomo: «Senza contare la forza dell’anima, vi sono due cause principali, […], che possono farla [la piccola ghiandola] muovere»[4] ecc.
– Capisco. E so come voi che un certo numero di autori ha dichiarato che tale forza era incomprensibile. Così Spinoza, nella prefazione della parte quinta della sua Etica: «lo vorrei sapere quanti gradi di movimento la mente può imprimere a questa piccola ghiandola pineale»[5] ecc.
– Ebbene, allora?
– Ebbene, “avere la forza di” non è affatto la stessa cosa di “disporre di una forza per”. La prova sta nei testi che avete citato, giacché vi fermate troppo presto. Nella lettera a Elisabetta del 1643, Cartesio parla della nozione dell’unione dell’anima e del corpo, «dalla quale dipende quella della forza che ha l’anima di muovere il corpo, e il corpo di agire sull’anima». E in quel-la dell’ottobre 1645, l’anima ha
qualche forza per cambiare le impressioni che sono nel cervello, come reciprocamente tali impressioni hanno la forza di eccitare nell’anima dei pensieri che non dipendono affatto dalla sua volontà
Ora, voi non direte del corpo, del cervello, degli spiriti animali, della stessa piccola ghiandola pineale – che so? – che “dispongono di una forza” per cambiare qualcosa nell’anima. Il corpo non dispone di nulla.
– Sta bene. Ma Cartesio parla della «forza dell’anima» nei confronti del corpo, mentre non parla in nessuna parte di una “forza del corpo” nei confronti dell’anima. Occorre dunque contare con una certa asimmetria. Del resto, guardate nella lettera del 1645: l’anima ha «qualche forza per cambiare le impressioni» del cervello, ma queste impressioni non hanno “qualche forza per eccitare nell’anima” certi pensieri – esse ve le eccitano, ed è tutto. C’è una sfumatura soggettiva e intenzionale nell’espressione, che fa sì che essa non possa applicarsi che all’anima. Così, per l’anima, la vostra distinzione non sembra valida.
– Al contrario, voi la confermate.
– Io la confermo?
Voi ammettete che l’espressione “avere la forza di” – che si usa per l’anima, ma anche per il corpo, gli spiriti animali, le impressioni del cervello ecc. – può intendersi in un modo tutto oggettivo, mediante cui essa equivale insomma ad “avere la proprietà (causale) di”. Ed è proprio a partire da questa proprietà oggettiva che l’anima può, nel modo che in effetti le è proprio, esercitare un potere, il che torna a “servirsi” di questa stessa proprietà. Ma fino a questo caso in cui interviene l’intenzione o addirittura la riflessione, “avere qualche forza per” non è ancora “disporre di una forza”. In realtà, la prima espressione si usa correntemente per l’incontro dei corpi; vedete per esempio i Principi, Seconda parte, articolo 43: «un corpo che è congiunto a un altro corpo ha qualche forza per impedire che ne sia disgiunto» ecc. In quanto all’espressione “disporre di una forza”, essa è troppo forte, troppo assoluta, e dubito che voi la troviate in Cartesio.
– Ma tutte queste controversie intorno alla forza dell’anima…
– Io penso, con Frédéric de Buzon[6], che esse poggino su un importante errore d’interpretazione riguardo all’uso cartesiano della parola “forza”. Si vuole che la forza di cui si tratta sia sempre una realtà fisica, mentre, nel quadro particolare dell’unione dell’anima e del corpo, si tratta soltanto di un potere causale.
– Come mai? A effetto fisico, causa fisica! E questa causalità fisica è attribuita a un’anima immateriale che è stata l’oggetto dello scandalo!
– Infatti. Ma qui, noi dobbiamo entrare nei processi considerati.
– Mi sembra così.
– Si parla della “forza dell’anima” ogni volta che una certa intenzione, una determinazione della volontà, o solamente un pensiero che non sembra causato dal corpo provoca o sembra provocare un certo movimento, un processo fisico specifico. Così, nel movimento volontario, nella lotta contro una passione presente, o già nel modo volontario dell’immaginazione o della rimemorazione. In quest’ultimo caso, il processo fisico è puramente intracerebrale. Ma in ogni caso, bisogna menzionare un certo movimento della piccola ghiandola che costituisce per Cartesio la “sede principale” dell’anima.
– Siamo d’accordo.
– Ciò che ha colpito certi lettori di Cartesio è che l’anima “abbia la forza di fare” in modo che la piccola ghiandola, sospesa in mezzo a delle “concavità” del cervello (i ventricoli), tenda verso una determinata direzione. Nell’articolo 47 delle Passioni dell’anima, a proposito della lotta dell’anima contro la sua attuale passione, Cartesio dice pure: «La piccola ghiandola che è al centro del cervello può essere mossa da un lato dall’anima, e dall’altro dagli spiriti animali (..), succede spesso che queste due spinte siano contrarie, e che la più forte impedisca l’effetto dell’altra». Si può allora parlare di una sorta di lotta «tra lo sforzo con cui gli spiriti spingono la ghiandola per causare nell’anima il desiderio di qualche cosa e quello contrario con cui l’anima la [la ghiandola] respinge per la volontà che ha di fuggire la stessa cosa»[7]. Evidentemente, bisogna accettare questo linguaggio…
– Lo vedete: l’anima aziona la ghiandola, in qualche modo, applicandovi un certo “sforzo” fisicamente quantificabile!
– Le apparenze sono a vostro favore. Ma considerate, un po’ più su, l’articolo 44. Cosa precisa qui Cartesio? Che «non è sempre la volontà di suscitare in noi qualche movimento o qualche altro effetto, che può far sì che lo suscitiamo, ma questo cambia a seconda che la natura o l’abitudine abbiano diversamente unito ciascun movimento della ghiandola a ciascun pensiero»[8], Da qui il seguito, all’articolo 45:
Neppure le nostre passioni non possono essere direttamente suscitate o eliminate dall’azione della volontà, ma possono esserlo indirettamente attraverso la rappresentazione di cose che solitamente sono unite alle passioni che vogliamo avere, e che sono contrarie a quelle che vogliamo rigettare[9].
– Che cosa ne concludete?
– L’anima non applica mai direttamente una certa forza o un certo sforzo alla piccola ghiandola. La forza che vi si applica dipende piuttosto dall’oggetto del suo pensiero. Questa condizione si ritrova nell’articolo 47: un’anima che cerca di combattere la sua passione è costretta, dice Cartesio, “a ingegnarsi”, ossia ad applicarsi in modo inventivo, «e ad impegnarsi a esaminare diverse cose, e se capita che una di queste abbia la forza di cambiare per un momento il corso degli spiriti (animali), può accadere che quella seguente non l’abbia, e che quindi essi lo riprendano subito dopo». Testo eccellente! L’azione dell’anima sul corso degli spiriti animali suppone in realtà non solo la formazione di una certa volontà o volizione, ma il ricorso a una immaginazione che sola, in quanto impressione del cervello, agisce su quegli spiriti in modo diretto.
– Sì, ma l’effetto di questa immaginazione resta da attribuire alla sola anima!
– Sì e no. Esso corrisponde ad una volontà e non avrebbe luogo senza di essa. Tuttavia, il fattore abitudine gioca qui un ruolo importantissimo, e farà ritorno negli articoli successivi.
– Che cosa cambia?
– L’anima avrà tante più possibilità di vincere la sua lotta contro la passione presente quanto più la rappresentazione che le oppone le sarà più familiare, in altri termini quanto più essa avrà più frequentemente coltivato questa rappresentazione. La forza di tale rappresentazione è in primo luogo quella della convinzione, in altri termini quella dell’abitudine.
– Che ne concludete?
– Le rappresentazioni più efficaci son quelle che, in modo abituale, hanno più posto nella mente (sono, dice l’articolo 48, «le sue proprie armi della volontà»). Ma non possono tenere questo posto nella mente senza che le corrispondenti immaginazioni siano fissate nel cervello, ovverosia rientrino in ciò che Cartesio chiama la «disposizione del cervello».
– E quindi?
Per Cartesio, la «forza dell’anima» e la «disposizione del cervello» sono delle realtà non opposte ma correlative. Vedete, un po’ più su, gli articoli da 35 a 40, sul processo di stimolazione delle passioni. All’articolo 36, a proposito dell’esempio di un animale che vediamo venire verso di noi, si legge: «Se questa figura [di animale) è molto strana e molto spaventosa ..], questo suscita nell’anima la passione del timore, e successivamente quella dell’audacia, oppure quella della paura e dello spavento, a seconda del diverso temperamento del corpo o della forza dell’anima e a seconda se in precedenza ci si è premuniti, con la difesa o con la fuga, contro le cose nocive con le quali l’impressione presente è in rapporto. Perché questo rende il cervello di alcuni uomini disposto in modo tale che gli spiriti»[10] ecc.
– «Questo», che cosa? Cos’è che «predispone il cervello in modo tale» есс.?
– Non l’apparizione dell’animale (la ripetizione del questo è infelice), ma l’insieme di quei fattori anteriori. Ne avrete conferma nell’articolo 39:
La stessa impressione che la presenza di un oggetto spaventoso fa sulla ghiandola, e che in alcuni uomini causa la paura, può suscitare in altri il coraggio e l’ardimento: la ragione di ciò sta nel fatto che tutti i cervelli non sono disposti nello stesso modo, e che lo stesso movimento della ghiandola che in alcuni suscita la paura, in altri fa sì che gli spiriti» ecc. (il corsivo è mio).
Pertanto insisto: l’anima non agisce in tale o tal altro modo se non in un cervello predisposto.
– Non andreste così verso una sorta di parallelismo psicofisico alla Spinoza?
– La parola, lo sapete bene, non è di Spinoza, e bisognerebbe sapere precisamente ciò che si indica con questa. Se si tratta del fatto che ad ogni stato della mente corrisponde un certo stato del corpo, e viceversa, questa idea non è certo cartesiana, ma, d’altro canto, non è evidente che Cartesio l’avrebbe formalmente respinta[11].
– E questa famosa questione, discussa per esempio da Leibniz[12], di sapere se l’azione dell’anima nella ghiandola sia compatibile con la conservazione generale della quantità di movimento nella natura?
– Quella questione non svanisce, anche se le variazioni di cui si tratta nell’andamento degli spiriti animali e nella loro direzione sono estremamente piccole, e nel mondo cartesiano non hanno che degli effetti fisici molto limitati. In primo luogo si può sottolineare, con Frédéric de Buzon[13], che in Cartesio la quantità di movimento non muta con la direzione del movimento. Ma così, ci si rimette molto a isolare il caso della piccola ghianda nell’uomo, mentre una questione molto più globale si pone in quanto al movimento animale in generale.
– Che è?
– Quella di sapere se la causalità delle impressioni cerebrali cade esattamente sotto le leggi dello scontro. Quando una bestia, vedendo la sua preda, si muove per piombarle addosso, quale rapporto c’è tra la forza dei raggi luminosi nel fondo dell’occhio (per parlare solo della visione) e quella con cui la bestia si avventa? Sta qui una difficoltà generale a cui Cartesio non sembra avere veramente risposto. È una delle difficoltà del rapporto tra fisica e fisiologia.
– Ma d’altra parte, sostenere che l’anima agisce soltanto in un cervello predisposto non significa spossessarla della sua propria forza? Che resterà della sua libertà?
– Per l’anima, in quanto unita al corpo, il più alto grade della libertà consiste nel non avere passioni da vincere, o nel non avere sforzi da fare per questo; esso implica dunque un cervello ben disposto, come nel caso della generosità, «chiave di tutte le altre virtù» e «rimedio generale contro tutte le sregolatezze delle passioni»[14]. Per quanto riguarda la sua propria forza, essa si esercita e si realizza nel pensiero. È una forza d’attenzione, che d’altronde ha i suoi effetti nel cervello, dove «rafforza» le idee delle cose[15]. Non è possibile risalire più su[16].
[1] Lettera a Elisabetta, 21 maggio 1643, AT III, 665; TL 1749.
[2] Lettera a Elisabetta, 6 ottobre 1645, AT IV, 310; TL, 2105.
[3] Passioni, I, art. 43; BOP II, 467.
[4] L’uomo, AT XI, 180; BOP II, 467.
[5] Spinoza, Ethica, Sansoni, Firenze 1963, parte V, prefazione, p. 579.
[6] Si veda il nostro contributo firmato congiuntamente, L’ȃme avec le corps: le sens, le mouvement volontaires, les passions, in Lectures de Descartes, éd. par F. de Buzon, É. Cassan, D. Kambouchner, Ellipses, Paris 2015, pp. 318-328.
[7] Passioni, I, art. 47; BOP I, 2377.
[8] Passioni, I, art. 44; BOP I, 2373.
[9] Passioni, I, art 45; BOP I, 2373.
[10] Passioni, I, art. 36; BOP I, 2367.
[11] Cfr, CAP. 8.
[12] Si veda specialmente Essais de théodicée (1710), § 60; e prima la lettera di Leibniz ad Arnauld, 30 aprile 1687.
[13] F. de Buzon, É. Cassan, D. Kambouchner, L’ȃme avec le corps, cit., sez. 4.
[14] Passioni, III, art. 161; BOP I, 2485.
[15] Passioni, I, art. 75; BOP I, 2401.
[16] Ho anche affrontato questa questione in L’homme des passions, 2 voll., Albin Michel, Paris 1995, capp. 2 e 5. Cfr. anche Descartes aux limites du naturalisme: la force qu’a l’âme de mouvoir de le corps, in G. Bagnati, M. Cassan, A Morelli (a cura di), Le varietà del naturalismo, Ed. Ca’ Foscari, Venezia 2019, pp. 93-106.
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CARTESIO NON L’HA MAI DETTO