VIVERE CON FILOSOFIA: IL DOLORE E NOI
Estratto di Salvatore Grandone, Vivere con filosofia. Saggezza antica per imparare l’arte di vivere, Diarkos, Rimini 2025.
La nostra relazione con il dolore
Il dolore è un’esperienza che accomuna tutti gli uomini. Se in linea di principio si può dire di non aver mai conosciuto il “vero” amore o la “vera” amicizia, nessuno può affermare di non aver mai sofferto. Il dolore è qualcosa che si conosce intimamente. Un aspetto fondamentale è la sua natura profondamente individuale e insostituibile. Non si può vivere il dolore di un altro, e in questa unicità si radica una parte essenziale dell’esperienza. Il dolore tende inoltre a isolare: chi ne è colpito può sentirsi estraneo e distante dal mondo circostante, come se il patimento creasse un confine invalicabile tra sé e la realtà esterna. Tuttavia, nel momento stesso in cui viene provato, il dolore necessita di una forma per essere compreso e comunicato, manifestandosi attraverso delle “maschere”. Queste non sono semplici finzioni, ma i modi in cui chi soffre si comporta e si relaziona con il proprio dolore e con gli altri. Possono essere individuali, ma si sviluppano anche a livello sociale e culturale, come tentativi collettivi di dare senso al patimento.
L’esperienza dolorosa possiede una duplice dimensione: pur essendo un tormento intimo e personale, essa solleva interrogativi universali sul significato dell’esistenza. Nel dolore vi è un movimento di sistole e di diastole. Da un lato il dolore chiude in se stessi, fa implodere; più si soffre, più la realtà e le persone spariscono. Il dolore mette a contatto con la singolarità: fa sentire l’esistenza come un enorme macigno che si porta interamente sulle proprie spalle. Dall’altro il dolore fa emergere grandi questioni: “perché proprio a me?”, “che senso dare a tutto que sto?” Dalla contrazione dell’esistenza deriva spesso uno slancio che porta a chiedere aiuto, a trovare un modo per “indossare” il dolore, per continuare a vi vere e per ridare forma all’esistere. Tra le due tendenze l’equilibrio è molto fragile. A volte dalla chiusura non si esce: l’isolamento persiste fino a trasformarsi in rifiuto del mondo. Altre il tentativo di esorcizzare la sofferenza attraverso forme socialmente accettabili porta alla sua rimozione. Ma il dolore persiste, è sempre lì; cova nell’anima e la svuota.
La nostra società ha un rapporto problematico con il dolore. Viviamo in un’epoca in cui si cerca di evitare la sofferenza, quasi fosse un nemico da sconfiggere a tutti i costi. Sembra che la nostra cultura ci spinga a credere che il dolore sia sempre negativo e inutile, qualcosa da eliminare immediatamente con farmaci o distrazioni. Si tende a medicalizzare ogni forma di disagio, cercando una soluzione rapida al malessere, sia fisico che emotivo. A ben guardare, il costante tentativo di allontanare il dolore potrebbe avere delle conseguenze inaspettate. Evitare sempre la sofferenza potrebbe impedire il confronto con la realtà della nostra esistenza, che inevitabilmente porta con sé momenti difficili. È come se, cercando una sicurezza artificiale, finissimo per chiuderci in una sorta di prigione dorata, restii alle vere sfide della vita. Inoltre, se il dolore viene percepito solo come un male senza senso da sopprimere, rischiamo di perdere la capacità di comprenderne il significato e il ruolo che potrebbe avere nella nostra crescita personale. Concentrandoci unicamente sull’allontanarlo, potremmo non riuscire a imparare dalle esperienze dolorose e a sviluppare una maggiore resilienza. In definitiva, l’ossessione per una vita senza dolore potrebbe portare a una visione superficiale dell’esistenza, allontanandoci da una percezione più piena e autentica di noi stessi e del mondo.
ILLUS. @by FRANCENSTEIN, 2025
VIVERE CON FILOSOFIA






