I VOLTI DELLA PAURA – ROBERTO ESCOBAR A PASSEPARTOUT 2023
Roberto Escobar, filosofo politico e critico cinematografico, ci ha presentato, sabato 10 giugno, per la rassegna culturale Passepartout 2023 il tema della paura, nelle sue implicazioni filosofiche.
Per il filosofo la paura non deve essere concepita come una diminuzione di noi stessi, ovvero come una parte dell’individuo che gli viene sottratta, poiché tale considerazione sarebbe come fare un torto alla paura. Si intende proporre una Apologia della Paura, difatti, passando da Così parlò Zarathustra di Friedrich Nietzsche, possiamo capire come la paura sia una emozione fondamentale dell’uomo: essa non è nemica della condizione umana, ma è parte integrante di quest’ultima. Essa si concretizza soprattutto nella reazione dinnanzi al pericolo che io stesso percepisco.
Ma allora come mai noi abbiamo paura? Questo sentimento, rassicura Escobar, non appartiene all’intero cosmo; per questo è doveroso definire l’elemento in questione: la paura di cui noi trattiamo non è quella degli altri animali, ma è quella dell’animale umano, l’unico animale che ha una quantità superiore di paura rispetto a tutto l’esistente. Si ponga questa situazione: siamo dinnanzi ad un sentiero ed in lontananza possiamo scorgere un corvo: quando mi avvicinerò all’animale in questione quest’ultimo volerà via, proprio a causa del sentimento della paura. Ma poniamo un’ulteriore situazione: al posto che un sentiero rassicurante vi è un vicolo di un quartiere malfamato, ed al posto del corvo vi è una persona che sembra avere tutte le caratteristiche per essere definito come un delinquente: da quest’ultima situazione qualsiasi individuo scapperà dopo aver metabolizzato le informazioni a riguardo poiché provo paura. La differenza? È che l’essere umano dinnanzi alla situazione del delinquente interpone un tempo di decisione, il corvo invece non compie tale operazione, vola via e basta. Questo esempio caratterizza la nostra paura: gli uomini non sono, come si può intuire, esseri che si sono evoluti in modo perfetto e che da sé possono affrontare qualsiasi avversità. Noi siamo, per Escobar, esseri che la natura avrebbe sicuramente spazzato via qualora non ci fosse stato qualcosa di esterno.
Per chiarire l’esempio in questione possiamo prendere come paradigma il mito di Prometeo, dove quest’ultima figura mitologica greca, in seguito ad un litigio con Zeus per un sacrificio rubato a quest’ultimo, restituisce il fuoco agli uomini rubando ad Efesto il fuoco del fabbro. Prometeo non restituisce il fuoco naturale, ma dà agli uomini un fuoco artificiale, per poi successivamente venire incatenato da Zeus ad una roccia per scontare una terribile pena per l’eternità. Esattamente come Prometeo, Escobar afferma, noi siamo incatenati al nostro artificio. Quale è questo però? Questo è la nostra cultura. Ecco svelato il motivo per cui noi non agiamo immediatamente: dobbiamo usare dei meccanismi per difenderci. Interrompiamo, dinnanzi al pericolo, l’azione e in tale dilazione introduciamo un significato: classifichiamo così il bruto come un delinquente esattamente come l’antenato della scimmia millenni fa dinnanzi ad un predatore prese un osso per difendersi e gli diede il significato di arma. La scimmia ha trasformato l’oggetto in una clava, ha dato significato ad un oggetto così contrapponendolo alla sfera naturale per usarlo in una artificiale. A lungo possiamo scappare dalle nostre paure, ma non possiamo correre via dalla nostra sfera culturale.
Da due storie contrapposte i cui temi spaziano da un racconto di Ernesto De Martino, antropologo, al racconto di Giovanni Senzapaura, la paura ci rivela i suoi due volti: un anelito umano verso la sua sfera culturale ed un anelito verso il diverso. Da una parte il piacere dell’abitudine che ci porta all’interno della nostra cultura e dall’altra parte una irresistibile attrattiva per quanto riguarda il diverso ed il pauroso, le due facce delle foglie di carciofo – se vogliamo usare una metafora calviniana – sono contenute all’interno dell’uomo e ne regolano il funzionamento in un rapporto tesi – antitesi; paura di uscire – desiderio di uscire; fuori – dentro. Spaziando su un esempio di Zimmel Escobar ci fa notare come questo rapporto tra contrari sia sostenuto da un esempio antropologico piuttosto particolare: quello dell’esistenza dell’utensile porta. Le capanne rudimentali dei nostri antenati possedevano una porta, ovvero un artificio proprio per determinare queste due costanti logiche del dentro e del fuori, e tale creazione umana perciò può essere un elemento terrificante ma allo stesso tempo un tranquillizzante, data l’indifferenza della natura a queste meccaniche che emergono grazie alla porta stessa. Noi, esseri del limite, dato da quelle due costanti di fondo, contempliamo l’infinito che la porta ci presenta, dove i nostri due volti più caratteristici convivono.
Ma c’è dell’altro. Per Escobar noi dobbiamo stare su quel limitare e possiamo farlo con un’opera collettiva: la politica, considerata dal filosofo come la dimensione del futuro, in quanto essa trasforma la paura in sicurezza. Dai destini individuali della paura si spazia ai destini collettivi. Proprio grazie alla dimensione della politica noi rielaboriamo quell’insensato che sta fuori, dunque grazie ad essa trasformiamo la paura in sicurezza. In quanto unici animali che possono effettivamente percepire il futuro (elemento di sopravvivenza), esso è anche l’abitacolo di svariate paure, che come abbiamo detto, possono essere disvelate e razionalizzate dalla politica. È Escobar stesso a adombrare l’incontro con un velo di sospetto: se la politica assume tale funzione – ovvero di razionalizzazione dell’insensato -, qualora quest’elemento cessasse di esistere la paura con molta probabilità riemergerebbe incontrollata, data l’assenza di un riferimento culturale che può salvarci dall’ospite inquietante della paura.
E la politica, per Escobar, purtroppo non c’è più da decenni: coloro che prendono le decisioni oggi non sono le stesse persone che rappresentano la classe politica dirigente, ma sono i globalisti finanziari, ovvero coloro che governano i meccanismi della finanza e del mercato. Ma questo quale rapporto intrattiene con la paura? Tale considerazione coincide con una tesi di Bauman per cui vi è una sostituzione della sicurezza (prodotto della politica), con l’insicurezza (strumento per assoggettare le masse al mercato). La situazione di post-democrazia qui escritta ha, dunque, un legame profondo con il sentimento della paura, ma non solo: essa cerca di soddisfare il bisogno umano della ricerca di sicurezza in quanto crea insicurezza (data l’assenza della politica), e per acquietare l’animo umano fornisce soluzioni populiste costruendo la paura stessa. Dunque viene introdotto un elemento importante: la paura della paura, e quest’ultima si rivela un abile strumento di controllo poiché innalza il bisogno di sicurezza. Il velo di sospetto teso da Escobar si presenta come un’urgenza di cui rendersi conto, immersi come siamo in questa prospettiva post-democratica.
Una frase di Roosevelt accompagna il finale dell’incontro:
L’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa
Lezione che è necessario imparare.