IL RUOLO DELLA NARRATIVA

La narrativa è sicuramente uno dei modi letterari e mediatici più influenti degli ultimi anni, qualora noi lo intendessimo come mezzo di rappresentazione di una coscienza collettiva, o come funzione rappresentativa di un’espressione individuale, la sua importanza necessariamente si staglia sul suo stesso significato, in quanto il nocciolo fondamentale che persiste ad ogni attacco o concezione dell’individuo diviene pur sempre quello di un mezzo rappresentativo. Il narrare in senso lato, che sia posto su un supporto prevalentemente scritto, o che sia posto invece in un supporto orale, presuppone sempre un’azione rappresentativa come fine che caratterizza a pieno la sua essenza. Difatti la quiddità della narrativa deve necessariamente essere la rappresentazione, poiché se viene meno si perde completamente il significato di essa, in quanto non si ha il fine che il narratore impone, ovvero quello di concettualizzare determinati significati in una rete di connessioni, e tale concettualizzazione possiamo effettivamente porla come un’abilità rappresentativa. Il modo rappresentativo oltretutto può essere dato da ulteriori modi di comunicare: posso veicolare il messaggio in modo tale che l’azione rappresentativa non sia esplicita ma sia data da processi deduttivi o induttivi, tuttavia permane anche in questo caso l’azione da parte del soggetto di rappresentarsi. Tale abilità rappresentativa dunque si rivela essere un possibile fondamento della narrativa, e la caratteristica rappresentativa in questione una verità valida, seppur non verificabile direttamente in maniera deduttiva. Dunque, per necessità pratica dell’indagine logica, possiamo porre tale assunto alla base della nostra concezione della narrativa.
Ora, come affermato in precedenza, rispetto alla rappresentazione vi è un altro elemento che è caratterizzante ed è possibilmente fondante della narrativa, il quale si riferisce all’abilità recettiva del soggetto. Se prima abbiamo analizzato un determinato fondamento (la rappresentazione) che, pur cambiando il modo di veicolare il messaggio, rimaneva alla fine un’azione costituita dalle sue caratteristiche fondamentali, dinnanzi all’abilità recettiva del soggetto ci troviamo dinnanzi ad un fenomeno simile, con il quale possiamo avanzare l’ipotesi che la fermezza dell’abilità rappresentativa incontri proprio l’eteronomia dei modi recettivi umani, i quali necessariamente devono essere antecedenti rispetto alla rappresentazione (tale si può affermare come verità auto-evidente). Precisiamo però l’eteronomia di fondo dell’abilità recettiva del soggetto: tale ovviamente non attinge all’essenza e alle definizioni delle parole, difatti se enuncerò la parola “Socrate”, tale sarà sempre e comunque la persona, vissuta nella Grecia antica, di nome “Socrate” che morì nell’anno 399 a.C.; oppure, se dirò la parola “sedia” necessariamente non penserò ad un oggetto diverso per quanto concerne la sua essenza (che io mi immagini una sedia con uno schienale di colori o forme differenti, tale sempre rimane grazie ad un’imposizione di significato su un oggetto che ha determinate caratteristiche, e di certo non mi immaginerò un armadio). Quello che cambia da persona a persona, e che costituisce la varietà di rappresentazioni possibili in ogni essere umano, è il significato complessivo che l’ambiente assume nelle sue relazioni, ovvero, il significato che il messaggio ricevuto dal soggetto può veicolare, dunque la quiddità della rappresentazione. Come affermato in precedenza, la recezione precede la rappresentazione, dunque capiamo che ogni storia che sia veicolata ad un soggetto acquisterà una molteplicità di significati rappresentativi dati dalle diverse recezioni di ogni singolo individuo.
Dunque, ricapitolando, la rappresentazione rimane l’essenza della narrativa in quanto, nonostante essa ospiti infinite eteronomie possibili, essa è l’azione che caratterizza a pieno tale attività, e senza di questa la narrativa smette di esser tale, difatti, qualora io smettessi di rappresentarmi una scena, automaticamente smetterei di rappresentare il contenuto che ho ricevuto, e non si avrebbe lo scopo di chi vuole veicolarmi il messaggio. Tuttavia l’abilità rappresentativa è possibile solamente grazie ad una recezione di fondo, che cambia (per quanto attiene alle relazioni concettuali) da soggetto a soggetto, così cambiando la rappresentazione di fondo, ma facendo sì che questa rimanga sempre composta dalla stessa ed identica azione. Dunque, per riassumere, la rappresentazione e la recezione sono le conditio sine qua non per cui io posso avere una narrazione qualsiasi: la rappresentazione secondo il fine (il quale determina l’essenza del narrare), e la recezione secondo la possibilità di questa e la sua caratterizzazione per quanto attinge alla rappresentazione.
Quello che possiamo notare da questo movimento di fondo è essenzialmente il fatto che quest’attività sul piano fenomenologico del soggetto non si staglia solamente nell’ambito della mera narrazione (letteraria, orale o mediatica che sia), ma tale attività attinge ad un piano ben più grande, ovvero quello dell’esperienza empirica. Difatti l’indagine sulla narrazione si è rivelata avere delle componenti che si possono adattare benissimo, e senza grandi problemi, a quello che è l’ambito dell’esperienza empirica. La concezione della nostra esperienza empirica si può benissimo spiegare con quel binomio che si è dedotto dalla narrativa (recezione-rappresentazione). Ovviamente per quanto riguarda la percezione, non si avrà una percezione concettuale degli eventi percepiti, ma si avrà perlopiù una percezione sensibile e sensoriale, tuttavia l’attività rappresentativa rimarrà sempre la stessa, in quanto anche nella vita reale, assistendo al panorama che la mia percezione sensibile mi propone, devo necessariamente avere una rappresentazione concettuale del luogo in cui sono, delle relazioni che le persone intraprendono, e di quali azioni comportano, e ciò lo posso compiere solo grazie alla ragione. Insomma, l’attività rappresentativo-concettuale è richiesta anche nell’esperienza empirica di tutti i giorni, assieme alla sua cara caratterizzazione recettiva, che inevitabilmente, it shapes the essence.
Arrivati a questo punto capiamo come esperienza empirica e narrativa siano due entità simili tra di loro nel funzionamento che esse esibiscono, e ciò è dato dal fatto che la realtà spesso sembra, per nostra volontà inconscia, un libro narrato, ed alcune volte i libri narrati si pongono anche come rappresentativi del reale.
Ma per uscire da questa circolarità bisogna necessariamente attingere a ciò che noi sappiamo, per evidenza scientifica, che è venuto in precedenza, tale è difatti l’esperienza empirica, della quale la narrativa possiamo sì dire che è un’emanazione, ma, come vedremo, quest’ultimo elemento ha un’azione causale su di questa. Tuttavia nel presupporre, come pare giusto agli ordini del processo storico, l’origine della narrativa rispetto all’esperienza empirica, bisogna necessariamente porre una differenza d’ordine tra la mera esperienza empirica rappresentata dai concetti utili al piacevole dell’evoluzione (appartenente agli animali) e l’esperienza empirica tipica di noi esseri umani, la quale sembra porre in oggetto una rappresentazione che non sempre si risolve nell’habitus a porre una soddisfazione ai più piacevoli istinti umani (pensiamo allo scenario orrendo della guerra!), altrimenti non si spiegherebbe l’origine della narrativa.
Dunque data questa differenza d’ordine bisogna necessariamente porre un elemento di distinzione nell’uomo rispetto al regno animale che possa aver causato questo suo anelito verso la verità rappresentativa, e tale può essere trovata, a parer mio, nel fenomeno emergente della ragione, la quale sì, nasce da esigenze perlopiù attinenti all’istinto umano, ma esibisce comportamenti che non sono riducibili alle sue parti costituenti originarie e che, dunque, riesce a stabilirsi come un fenomeno che non è possibile spiegare rispetto ai suoi componenti.
Seppur la ragione è nata per condizioni infime, essa stessa per sua evidenza interna a sé stessa riesce a differenziarsi, ed il prodotto con il quale noi possiamo a tutti gli effetti vedere il suo anelito indifferente rispetto alla piacevolezza o meno dei sensi è proprio la narrativa. Difatti la narrativa è in questo caso l’esemplificazione e la piena autocoscienza del processo dato dalla ragione di condurre una rappresentazione concettuale proprio perché condivide la stessa struttura dell’esperienza empirica (recezione-rappresentazione), ma in modo tale da essere epurata da rappresentazioni sensibili o da fini di questo tipo, così da essere comunicata a più soggetti. Essa tende ai concetti, perciò essa pone le fondamenta per il saggio.
A prova di ciò, i primi tentativi di spiegazione del mondo, quali i racconti cosmogonici, si esemplificavano attraverso una forma narrativa mitologica; difatti essi rappresentavano la prima esemplificazione del processo rappresentativo come richiesto dalla ragione. Perciò capiamo che sì, dapprima viene l’esperienza empirica, dopo viene la narrativa come tecnica rappresentativo-concettuale data dalla ragione, ma successivamente si può presupporre che l’ultimo elemento, per la sua natura così vicina all’esperienza umana, modifichi a sua volta l’attività rappresentativa umana, per poi andare di nuovo ad esplicarsi in attività narrative, per poi successivamente modificare l’ambito umano, e così via, forse, fino alla nostra fine. Dunque, ricapitolando il processo, la narrativa segue necessariamente l’esperienza umana in quanto esplicazione di un’esigenza della ragione che emerge in noi e che porta con sé l’anelito verso la verità (e dato che la recezione cambia da soggetto a soggetto si fa riferimento ad una verità interna all’attività rappresentativa del soggetto singolo); tuttavia, tali narrazioni influenzano, di rimando, l’esperienza umana, la quale a sua volta produce narrazioni: questo processo diviene, così, una mutua influenza reciproca infinita dei due aspetti, i quali abbiamo dimostrato divenire l’uno dall’altro. Ecco, il ruolo della narrativa: porsi come l’esplicazione più autentica dell’esperienza della concettualizzazione umana, poiché esprime il processo induttivo grazie al quale l’essere umano conosce, per raggiungere, grazie a questo stesso processo, l’estasi del mondo concettuale; difatti che cos’ha il saggio se non gli elementi della narrativa, ma astratti da situazioni temporali o individuabili?
Laddove si cerca il saggio come genere letterario, si deve cercare la vita, l’esperienza.
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Bestie che saremmo,
Se non potessimo raccontarci,
dell’intuizione pura schiavi rimarremmo,
e nel caos non sapremo come orientarci.
Ma cos’è questa, se non autocoscienza,
che capace di creare,
ci fa diffondere il nostro stile con veemenza,
e infonde negli altri una visione personale?
Essa prende coscienza di sé stessa,
in un film, in un libro,
ne incontra una più profonda di essa,
e dell’incoscienza non è più nel limbo.
Si diffonde così il sapere di sé stessi, nel mondo, nei rapporti e verso l’io, altrimenti, come si spiega dell’uomo i lati espressi,
la storia e l’arte, che sorvolano l’oblio!