LA MALEDIZIONE DEL RIONE QUARENZIO (cap. I)
La schiuma!
«La schiuma! La schiuma!» – urlò nel pieno della notte Alfredo Panucci prima di buttarsi dal campanile di San Sebastiano. Erano le 4:26 del 19 luglio.
17 luglio
Il Rione Quarenzio sorgeva in mezzo alla città. Era uno dei più storici con le sue chiese, i palazzi antichi, le vie strette, i monumenti ed i numerosi murales sui muri che lo rendevano così conosciuto e caratteristico per i turisti. Sì, erano proprio questi murales che lo avevano reso famoso, ogni anno un gruppo di 8 artisti europei di nazionalità differente si sfidavano nel fare il proprio murales. Il vincitore avrebbe poi avuto l’onore di raffigurarlo sul lungo muro in via De Filippi. Quest’anno la gara era stata vinta Andrey Cecheryn, artista ucraino di soli 24 anni.
Sfortunatamente il ritorno a Kiev gli era stato fatto fatale. La macchina che guidava prese un sasso che bucò la gomma, Andrey perse il controllo dell’auto sfondando il guard-rail.
Il quartiere gli avrebbe dedicato una via.
Qui erano cresciuti 9 amici, conoscevano quelle vie a memoria, sapevano il numero esatto dei ciottoli per terra, salutavano tutti i negozianti con “tu”, era il loro quartiere. Ma quell’estate era l’ultima, avevano finito gli esami di maturità e l’università gli avrebbe divisi a settembre. Agli inizi di agosto sarebbero partiti per la Spagna due settimane per il viaggio post-esami.
Si era trovati tutti e 9 in Via Mantello, Viki aveva portato la sua macchina fotografica per scattare delle foto-ricordo nelle vie del quartiere. Gio, Luca, Vane, Gech, Lollino e Lello, Filo e Fabio si misero in posa, Viki attaccò lo scatto automatico e corse in cornice pure lei. Sorrisero tutti, quella foto sarebbe stata l’unica seria della giornata, la foto ricordo che avrebbe unito i ricordi della loro amicizia.
«Fatto» – disse Viki – «e adesso passiamo alle foto serie.»
«Fammi una foto da tamarro con capellino, fumo che esce dalla bocca, schiena sul muro e con lo sguardo verso il cielo» – disse Fabio.
«Dai fagliela così la Prenatal lo prende come modello» – lo derise Vane.
Gio e Viki si fecero scattare una foto in cui facevano finta di picchiarsi. Lello, l’elegante del gruppo, stava seduto su una panchina con orologio Rolex che spuntava dalla manica. Gech si fece fotografare con una pipa e un libro in mano; Lollino mentre si arrampicava su un albero, Filo mostrava i muscoli. Vane fece la posa da modella attorcigliando le gambe. Luca non voleva essere fotografato mentre con la mano copriva l’obbiettivo.
Fecero altre foto in piazza, in via De Filippi, con il fruttivendolo Renato, davanti al cinema.
L’indomani Viki portò da Alfredo le foto a far sviluppare.
«Cara ci saranno per domani nel pomeriggio, passa pure verso le 17 e ci saranno».
«Ok, grazie Alfredo a domani».
Alla sera si trovarono a casa di Lollino per organizzare al meglio la vacanza.
Erano le 18:45 del 19 luglio e Viki era l’ultima cliente di Alfredo.
«Eccole in tutto sono 12 €» – Viki pagò e uscì. Erano venute tutte bene; sorrise ma provò anche un po’ di tristezza, era l’ultima estate che passavano insieme…
Il telefono di Vane squillò; era Luca, che mattiniero come sempre, aveva letto su Internet della morte di Alfredo il fotografo. Il suo corpo era stato trovato spappolato sulla piazza, si era buttato dal campanile di San Sebastiano – avevano accertato i poliziotti. Ben presto lo seppe tutto il gruppo.
«Viki tu non sei andata ieri a ritirare le foto» – disse Lello.
«Cazzo sì» – gli rispose Viki.
«Era strano?» chiese Filo.
«Pensa solo al cliente, non è un chiacchierone lo conoscete» – rispose.
«Chissà che cosa gli è passato per la testa, poveraccio… Boh ci vediamo stasera? Andiamo al Lupo ci beviamo qualcosa» – propose Gech. Andava bene a tutti.
Il Lupo era il bar dei giovani del quartiere, faceva cocktail niente male a prezzi non costosi.
Gli unici che non amavano i cocktail erano Vanessa, Lello e Lollino, che presero una birra. Parlarono dei momenti più cretini della scuola: le gite, le interrogazioni con il prof stronzo di storia, gli scherzi ai bidelli. Ne avevano passate di belle in quei 5 anni. Gabbiani all’orizzonte…
– urlò Lollino.
«Ma che cazzo urli» – sussurrò imbarazzato Lello.
Lollino prese la bottiglia dal collo la spaccò sull’angolo e se la conficcò in gola, tagliandosela tutta. Il sangue schizzò sui vestiti e sulla facce degli 8 amici.
La polizia era sul posto, Vane si era appena ridestata dallo svenimento. Il corpo di Lollino era stato portato via in ambulanza. Sono troppo sconvolti per rispondere. Il loro amico si è sgozzato all’improvviso davanti ai loro occhi.
«Torneranno domani in commissariato nel pomeriggio» disse il Vice ispettore Coralli anche al suo capo.
Gli 8 amici spiegarono il fatto e di come Lollino era stato normale fino a quel momento nulla avrebbe fatto presagire quel gesto. Dissero della strana frase del gabbiano ma non servì a mettere chiarezza sul fatto. Anzi, mise solo più mistero.
Uscirono ancora più sconvolti dalla centrale anche perché videro in lacrime i genitori del loro amico. Ognuno tornò nelle proprie case.
Il giorno dopo Gio si era svegliato sperando che fosse stato un brutto sogno; prese il cellulare: sulla chat non erano arrivati messaggi. Scese a fare colazione, quando suo padre lo chiamò in garage. La macchina aveva un problema, non partiva. Aprirono il cofano per vedere se il motore dava dei problemi, ma nulla. Dopo quasi 30 minuti di lavoro, scoprirono il problema: un cavo sotto la batteria si era staccato. La macchina ripartì.
– disse Gio avvicinandosi alla motosega.
«Cosa hai detto?» Rispose suo madre. Gio azionò la motosega, il rumore fece voltare il padre che vide Gio piantarsi l’attrezzo nella pancia fino ad aprirsela tutta. Gli organi caddero per terra e un fiume di sangue si riversò in tutto il garage.
«Ma che cazzo sta succedendo?» – disse Fabio – «prima Lollino e poi Gio!»
«La polizia ha detto chiaramente che non possono investigare in quanto sono suicidi» – disse Luca.
«Oggi sono andata a trovare i genitori di Gio, non erano sconvolti, come se lo sapessero che Gio si sarebbe ammazzato, mi hanno pure offerto un caffè…» – concluse Vanessa.
«Eh la polizia che non indaga?! Pazzesco!» – disse Lello.
«Dov’è Gech?» – disse Filo – «Era qui a fianco a me un attimo fa».
Girarono l’angolo della strada e videro Gech davanti a un muro…
disse prima di sbattere la testa violentemente contro il muro.
«Noooo fermatelo!» – urlò Vanessa.
Fabio si precipitò verso l’amico ma lui con una spinta lo buttò a terra e poi continuò a a sbattere la testa fino a spaccarsela.
Continua…