LA NECESSITÀ DELLA MORALE – PARTE III

Dopo aver giustificato logicamente l’adozione da parte dell’individuo di un sistema di regole morali ed aver analizzato le critiche possibili ad un sistema morale, dobbiamo ora dedicarci alla pars costruens, ovvero, quello di ricostruire gli elementi del sistema etico in modo da così permettere una solida struttura che si adatti a qualsivoglia critica filosofica. Un qualsiasi sistema etico, non essendo un elemento materiale o attingibile in un qualche modo dalla sfera della sensibilità, deve basarsi sugli unici elementi che lo caratterizzano i quali, possiamo dire con grande sicurezza, sono perlopiù nozioni umane che si sono sviluppate nel nostro ambito social-culturale. Perciò quello che a parer mio occorre fare in questo momento è definire questi elementi che, seppur non essendo empiricamente tangibili, sappiamo e notiamo come essi abbiano una sorta di causalità su quella che è la vita di qualsiasi individuo, perciò, se seguiamo la regola del principio eleatico, possiamo dire che effettivamente essi sono poiché esercitano una sorta di efficacia causale.
Ovviamente il tipo di posizione ontologica da tenere a mente non sarà sicuramente quello che sussiste allo stesso modo delle lastre di marmo che ho davanti o allo stesso modo del pc con cui sto scrivendo questo articolo; queste nozioni sicuramente sono, ma sono in quanto create da noi uomini, ovvero sono in quanto si riferiscono a modi di organizzazione dell’essere che emergono ed esibiscono nuove proprietà ontologiche (dei fenomeni emergenti in sostanza), ed in quanto tali esse rappresentano un’ontologia debole, ovvero è come se queste nozioni venissero riconosciute universalmente (se io dovessi andare da una qualsiasi persona e chiedere a questa che cos’è un obbligo o una ragione, nonostante il senso comune possa distrarla dal significato di queste determinate nozioni essa è in grado di dire che cosa effettivamente sono tali elementi), ma pur sempre esse non hanno nessuna corrispondenza con un oggetto fisico e riconoscibile empiricamente (eccezione per le ragioni, si vedrà dopo perché). Esse agiscono come elementi che hanno una corrispondenza con una definizione che tiene in sé un valore descrittivo (poiché descrive in cosa consiste una nozione) ed allo stesso tempo un valore prescrittivo (poiché la descrizione stessa prescrive un preciso comportamento dinnanzi ad una data nozione; es.: se mi sentissi moralmente obbligato ad aiutare una persona, il fatto che io concepisca tale prescrizione come un obbligo determina che quella nozione mi dia una prescrizione determinata, ovvero un determinato comportamento da seguire).
Aggiungo infine, riguardo alla natura di queste nozioni, che possono effettivamente essere modificate e condivise universalmente proprio grazie al loro modo di presentarsi ontologicamente che abbiamo descritto in precedenza. Esse possono avere dei valori fissi (sta a noi esseri umani decidere tali valori condivisi da ogni individuo e rielaborati secondo i suoi bisogni e capacità), devono essere condivisibili universalmente (altrimenti non avrebbe senso nei termini di una teoria morale poiché essa necessariamente deve poggiare su un terreno universale condiviso da un ampio gruppo di persone) ma allo stesso tempo possono essere rimodificate in base ad eventuali critiche che possono venire poste nei confronti di queste nozioni, difatti l’atteggiamento che intendo perseguire è di questo tipo, in quanto cercherò di proporre delle nozioni per un sistema etico adatto a rappresentare in modo più realistico una qualsivoglia situazione morale.
Nozione di ragione
Una prima nozione che si può ritenere fondante per qualsiasi sistema etico è quella di ragione. Una ragione è essenzialmente una determinata correlazione con un fatto fisico (che sappiamo che accade, oppure con molta probabilità, accadrà in successione alla nostra azione, dunque sarà da considerare come conseguenza) che ci spinge o meno ad eseguire un’azione. Facciamo un esempio, mettiamo caso che fuori piove: il fatto fisico che fuori si verifica un fenomeno che io posso esprimere come “pioggia” mi dà una ragione per (ad esempio) prendere l’ombrello quando esco. Comprendiamo così che le ragioni sono delle determinate proposizioni che hanno una correlazione con dei dati fisici o culturali che sono presenti o che noi sappiamo con grande certezza che accadranno dopo il compimento delle nostre azioni (o senza il compimento delle nostre azioni perché è determinato che essi accadano).
Le ragioni principalmente non nascono dal nulla e non sono innate in una qualsivoglia natura umana, ma esse invece nascono da un processo che si può definire valutazione. Esse nascono dall’azione di un discernimento complessivo della situazione morale, da questo, dunque dall’analisi dei fatti fisici e dei fatti social-culturali si possono effettivamente ricavare delle ragioni per l’agire morale. Inutile dire che la valutazione morale deve necessariamente essere compiuta in modo universale (prendendo in considerazione qualsiasi vantaggio verso qualsiasi individuo coinvolto nell’azione morale e tutti gli altri tipi di fattori) e non arbitrario, considerando i criteri fisico-oggettivi e quelli sociali-oggettivi (le relazioni che intercorrono tra gli esseri umani che si possono verificare con oggettività), pena la non-universalità delle ragioni, e dunque l’inadattabilità della ragione all’azione morale (questa abbiamo detto prima che deve poggiare su un terreno stabile ed universalmente condiviso).
La nozione di ragione perciò si trova alla base dell’argomentazione del compimento dell’azione da parte dell’individuo nei confronti di una determinata situazione morale, ed abbiamo visto come essa può sussistere in tre stati differenti a seconda del fattore temporale e del fattore causale. Però non si può pretendere che tutte le ragioni siano valide universalmente, difatti esse non possono automaticamente essere considerate come universali nel senso di oggettive, in quanto alcune ragioni attingono ad una sfera che non è determinabile in modo sensibile, ma è determinabile in termini di due tipi: affettivi o egoistici. Nel primo caso la ragione corrisponderà ad un fatto, ma tale non sarà un fatto universalmente valido, invece sarà un fatto determinato da criteri affettivi o comunque legati ad una sfera emotiva che non necessariamente concerne tutti i pazienti morali. In questo primo caso possiamo notare come queste ragioni non siano universalmente valide poiché io posso avere una ragione soggettiva nei confronti di un paziente morale ma (con molta probabilità) un altro individuo non la avrà nei confronti di quel determinato paziente morale; dunque, dato questo aspetto non universale, e poiché tali ragioni non sono fondate su dei criteri necessari, universalmente validi per ogni individuo che lui possa effettivamente riconoscere, non possono essere considerate come dei motori totalmente validi dell’azione morale, esse difatti assumono il connotato di ragioni deboli, ovvero ragioni che sì, hanno tale carattere in quanto esortano all’azione morale, ma esse, non potendo essere universalmente valide, non potranno valere in un campo condiviso da tutti. Varranno solamente in determinate condizioni, dunque, tali tipi di ragioni non possono che produrre un’adesione alla morale in modo accidentale e non in modo autentico (ovvero, secondo ragioni universali).
Il secondo tipo di ragioni invece, quelle egoistiche, sono ragioni la cui corrispondenza dei fatti è universalmente valida, ma allo stesso tempo parzialmente valida; essa è resa soggettivamente valida in quanto essa non valuta i fatti universalmente (in base al contesto e dunque considerando tutti i fattori che ne derivano dall’azione) ma in base a ciò che è a vantaggio dell’individuo che le usa. Se le ragioni del tipo precedente non potevano essere prese in considerazione in quanto quelle non davano un’adesione adatta per la moralità (eccetto nei casi in cui esse sono strettamente necessarie, come nel caso di un individuo che sia impossibilitato a riconoscere ragioni universalmente valide o impossibilitato a porsi su un terreno morale universalmente valido) queste ragioni non sono adatte in nessun modo per quanto riguarda la morale poiché esse necessariamente forniscono una visione della realtà che, pur essendo universalmente valida, soffre di una valutazione eseguita in base ad una valutazione universale ma parziale, poiché si valutano le ragioni oggettive di un individuo ma si esonera il contesto e le altre persone dalla valutazione con cui si originano le ragioni (se li si include ciò è vantaggioso ai fini dell’individuo), perciò esse sono soggettive in quanto parzialmente valide.
Nozione di Giustificazione
La nozione di giustificazione invece nasce negli ultimi secoli in ambito etico (abbiamo già visto negli articoli precedenti come essa abbia sostituito la nozione di fondamento metafisico in filosofia morale), ed essa si occupa prevalentemente di fornire una giustificazione nei confronti dell’attuabilità di una qualsivoglia teoria etica. Di certo non si avrà un fondamento stabile e fisso come quello fornito dalle metafisiche antiche, ma perlomeno, data l’inesistenza di una natura umana definita a tal punto da poter effettivamente far discendere in modo logico da essa una prescrizione di un comportamento morale (se ciò è possibile), sarà possibile sdoganare l’etica dalla sfera dell’ontologia in maniera forte così anche da non permettere una dittatura morale di alcun tipo, ovvero un’imposizione di valori morali che una società può esercitare sull’individuo. Di certo rimangono comunque valori scientifici ed analitici che, guardando al mondo umano, non si possono escludere o non si può ricusare la loro oggettività, dunque il panorama giustificativo può effettivamente comunicare con il panorama concernente la ricerca scientifica e sociale, in modo da raggiungere il grado di una giustificazione rafforzata da eventuali ricerche ed interpretazioni di dati.
Dio è morto, e quest’evento non può che portare ad un progresso positivo, con buona pace dei pessimisti che sono venuti troppo presto e che, anzi, non hanno capito nulla di questa storia.
Nozione di Obbligo
Dunque, in ultima analisi direi di passare alla nozione di obbligo, che scaturisce dalla libera scelta dell’agente morale dinnanzi alla valutazione ulteriore delle ragioni scaturite dalla valutazione iniziale. Quando una scelta viene compiuta dunque, a meno che non si voglia assumere un atteggiamento incoerente nei propri confronti, essa deve articolarsi nel processo di realizzazione, dunque nel processo di azione da parte dell’individuo. L’azione si può definire come la caratteristica della sostanza individuale per eccellenza, poiché la natura umana sembra effettivamente essere relazione tra sostanze (una relazione tra vari individui poiché il sé non è mai unitario e staccato dal contesto ma è inevitabilmente influenzato da esso, difatti può assumere un suo arbitrio grazie alla conoscenza stessa; essa porta alla realizzazione del libero arbitrio, che successivamente porta alla libertà), e al contempo una sostanza inserita in un contesto di relazioni (un individuo che è inserito in una rete di relazioni con altri individui).
L’obbligo è necessariamente connesso a questo protrarsi dell’individuo all’esterno che noi chiamiamo azione, poiché esso è il vincolo che esiste di per sé che l’individuo attua secondo la sua volontà di realizzazione della libertà (data dalla sua scelta). L’obbligo è perciò l’elemento che permette la realizzazione della libertà stessa in quanto esso non solo porta a compimento l’azione secondo una costrizione (creando un’antitesi nella volontà istintuale dell’individuo), ma porta al superamento della volontà individuale poiché la realizzazione dell’azione fa necessariamente rendere conto all’individuo di come l’antitesi sia stata necessaria nel contesto della propria volontà per auto-migliorarsi, sia nel successo o nel fallimento. Perciò l’obbligo può essere definito come il compimento del protrarsi della realizzazione della libertà individuale nel mondo esterno, esso è il vincolo per eccellenza che permette, grazie ad una parte della volontà umana, di compiere la propria libertà tramite una direzione che si è impressa al libero arbitrio. Esso è la realizzazione dell’azione e il motivo di venire in essere di una causalità in quel contesto di relazioni.
Tuttavia, come già espresso negli articoli precedenti, la morale non deve costituire alcuna sorta di imposizione di un qualsiasi ente verso l’individuo (altrimenti l’azione morale risulta compiuta per accidente o non è scaturita in modo corretto dall’abilità di trovare ragioni da parte dell’individuo stesso o non è data dal libero arbitrio dell’individuo), perciò potrà essere definito come obbligo adatto ad una qualsiasi situazione morale l’obbligo che scaturisce solamente dalla coscienza stessa dell’individuo, non dato da autorità alcuna (fatta eccezione in giovane età, dove la natura irrazionale umana è più manifesta e sembra carente di una volontà di discernimento razionale).
Conclusione
Infine, credo che la necessità della morale derivi principalmente anche da un fattore ulteriore, ovvero, il fatto che non si può considerare come fattore maggiormente caratterizzante dell’individuo quello della scelta. L’obbligo in questa visione vuole essere l’elemento che porta a termine la realizzazione della propria libertà (la scelta) non solo in quanto quest’ultima è un’attuazione del proprio ragionamento, ma oltretutto poiché questa determina anche la piena realizzazione dell’individuo, in quanto è l’unico elemento ontologicamente forte che è in grado di dare un’identità all’individuo e di creare quella interconnessione causale nella società. Dunque, data questa spinta individuale, la morale si rivela essere non semplicemente un mero modo di comportarsi che l’individuo deve assumere, ma anche una nuova dimensione creativa dove l’individuo può realizzare sé stesso e comporre un ragionamento (universalmente valido) in grado di giustificare una presa di posizione morale piuttosto che un’altra.
LA NECESSITÀ DELLA MORALE
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