LA RADICE DEL CASTAGNO, OVVERO DEL NON SENSO
Negata ogni giustificazione dell’esistenza, toltole ogni fondamento e necessità, essa giace lì, viscosa, inerte, grigia, priva di senso. Priva di senso, e non già insensata, in quanto priva di ogni determinazione e qualità. È in quest’ottica che possiamo operare una prima ed essenziale distinzione tra non senso e insensatezza: se l’insensatezza è un’affermazione positiva, una qualificazione affermativa del carattere insensato di una certa cosa, il non senso rappresenta, più radicalmente, la negazione del senso, la privazione di valore, di significato, di qualità. Il non senso dell’esistenza è dunque la sua indeterminazione, la sua nudità bruta e cruda, la sua neutralità spoglia ed inerte: priva di attributi, priva di necessità, l’esistenza appare – e ci aiutiamo col lessico sartriano de La nausea – nella sua sovrabbondanza. Massa indistinta ed inqualificabile, l’esistenza è di troppo, è sovrabbondante, e questa sua sovrabbondanza, questo suo essere di troppo, coincide con il suo non senso. Perché, dunque?
Sottolineiamo, innanzitutto, che l’essere di troppo dell’esistenza corrisponde all’impossibilità di inscrivere quest’ultima all’interno di un orizzonte significante, di un disegno già tracciato ed orientato verso una finalità precisa. L’uomo nasce, la sua esistenza fa irruzione nel mondo, ma quest’esistenza non è, in se stessa, portatrice di alcun significato, di alcuna necessità, e l’esistenza, allora, viene al mondo come non-senso, sorge in maniera contingente e casuale, come contingente e casuale è l’esistere, lo stare lì nauseabondo della radice del castagno che Antoine Roquentin osserva nel parco di Bouville. Straordinaria descrizione uscita della miglior penna sartriana, la radice del castagno è la manifestazione dell’esistenza nella sua contingenza, ossia nel suo non senso, perché contingente, in fondo, significa non necessario, non giustificato, e dunque non sensato:
Non mi ricordavo più che era una radice. Le parole erano scomparse, e con esse, il significato delle cose, i modi del loro uso, i tenui segni di riconoscimento che gli uomini han tracciato sulla loro superficie. Ero seduto, un po’ chino, a testa bassa, solo, di fronte a quella massa nera e nodosa, del tutto bruta, che mi faceva paura.
Lo sguardo di Roquentin, nauseato, inebetito, impaurito all’apparire di questa “massa nera e nodosa” che è la radice del castagno, perde ogni riferimento di fronte alla manifestazione, tangibile e concreta, del non senso in tutta la sua sovrabbondanza: scompaiono le parole, esse perdono la loro funzione significante e definitoria, improvvisamente incapaci di classificare gli oggetti, di descriverli, di attribuire loro una qualificazione terminologica. Il non senso porta, dunque, con sé l’impotenza del linguaggio, la parola è travolta dalla sovrabbondanza magmatica della Cosa, inesprimibile, das Ding, nel lessico heideggeriano: la radice del castagno è lì, nella sua nudità brutale, nel suo non senso scandaloso, che toglie al linguaggio ogni capacità espressiva e comunicativa. Ed è, a tal proposito, doveroso sottolineare il fatto che l’impotenza del linguaggio non sia la causa del non senso degli oggetti, bensì la sua conseguenza: un oggetto, insomma, non perde il proprio significato perché il linguaggio è incapace di esprimerlo e descriverlo, ma, al contrario, è il linguaggio che perde ogni proprietà significante, di fronte all’emergenza del non senso dell’oggetto. Esiste, dunque, un non senso originario, il non-senso esistenziale, che precede il non senso linguistico e terminologico, e tale non senso trova la propria origine nella contingenza, nella sua ingiustificabilità: la radice del castagno è portatrice di non senso nella misura in cui la sua esistenza non si giustifica: Roquentin non comprende né si spiega perché quella radice del castagno sia lì, perché essa esista.
Ma è proprio partendo dalla mancanza di senso a priori, dalla contingenza pura in cui l’esistenza umana è immersa, che si apre la possibilità della creazione del senso, un senso umano, tutto umano, che non risponde ad alcuna trascendenza né necessità aprioristica: ecco che sorge la nozione sartriana di progetto, intesa come passaggio dal non senso al senso, attraverso un atto di reinterpretazione del reale, una rimodulazione delle cose a partire dalla prospettiva del soggetto. Gli oggetti, la realtà, l’esistenza stessa possono, dunque, integrarsi nell’orizzonte del senso, assumere un significato e una giustificabilità, nel momento in cui entrano a far parte di un progetto, di una visione d’insieme della vita e dei suoi scopi. Ed ecco che anche alla radice del castagno, in se stessa priva di senso e di giustificazione, oggetto di troppo nella sua nuda brutalità, può essere attribuito un senso – senso contingente e relativo, va detto – se concepita in un progetto che la trascende e che la ingloba.
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@ILLUS. by WANDO, 2022