LO SCONTRO TRA MITO E RAGIONE

Noi conosciamo. Questo si può accettare come un assunto innegabile, o perlomeno autoevidente, fino a quando nella definizione di conoscenza comprendiamo la rielaborazione ed interpretazione di informazioni provenienti dall’esperienza empirica. Ma qualora la definizione della conoscenza si dovesse meramente fermare a queste soglie, capiamo che tutto potrebbe essere inteso con tale caratterizzazione, per quanto si tratti di ipotesi astratte senza alcuna attinenza con il reale: perciò da qui scaturisce l’esigenza di adottare una prospettiva ontologica che ponga al suo interno elementi ben definiti e con il giusto grado di astrazione, ma che pur sempre abbiano un riscontro con l’aspetto sperimentale della ricerca. Dunque bisognerà necessariamente privilegiare quelle entità che noi possiamo trarre dalla continua sperimentazione, consapevoli che gli unici elementi che possiamo ammettere nelle nostre ontologie sono propriamente elementi scientifici, o perlomeno che non si esonerino dall’ambito dell’esperienza umana, interrogata dall’esperimento.
Secondo l’attuale ricerca nel campo delle scienze cognitive, le cosiddette funzioni esecutive ricoprono un ruolo importante nel processo conoscitivo: esse sono appunto funzioni, processi che il nostro cervello mette in atto, i quali sono volti rispettivamente alla sistematizzazione dei dati del mondo esterno e all’azione per quanto attiene alla risoluzione di determinati problemi. Non è questa tuttavia la sede per approfondire questo discorso, in quanto si vuol esaminare un determinato aspetto per quello che concerne perlopiù una singola funzione esecutiva: una di esse difatti si rivela essere la memoria di lavoro. A tale funzione sottendono determinati processi atti a porre una sistematizzazione della realtà: è grazie alla memoria di lavoro se io posso sistematizzare le scienze che formano la mia visione della realtà e dire “la fisica si occupa della costituzione del trave che ho dinnanzi, il design si occupa di una possibile trasformazione del trave in mensola e l’ingegneria si occupa della successiva messa in sicurezza di tale asse sul muro in cui viene poggiato”. Oltre a questo esempio piuttosto banale ve ne possono essere innumerevoli altri che possono far intendere la natura di questi processi, come il ricordo di un numero di telefono che mi viene alla mente, oppure il calcolo di mercato che un analista può compiere. Insomma, la memoria di lavoro è una sistematizzazione dei dati forniti dalle nostre impressioni e presenta al suo interno un’interpretazione, una determinata assegnazione di significato, la quale cerca di porre inevitabilmente in una prospettiva i dati ricevuti.
La memoria di lavoro dunque sistematizza i dati ricevuti dagli organi di senso, assegna ad essi un significato e costruisce delle rappresentazioni mentali dei contenuti esperiti. Quest’ultimo elemento è la base di una qualsivoglia conoscenza da parte del soggetto, esso difatti deve necessariamente, per interpretare il mondo là fuori, costruire rappresentazioni mentali degli oggetti: quello che noi, filosoficamente, conosciamo come idee. Seppur la way of ideas qui è trionfante, ormai suffragata dalla ricerca empirica, non si vuol formulare un panegirico di questa corrente filosofica, ma, invece, si intende riflettere su una determinata natura delle idee che presiedono ai processi conoscitivi dell’individuo.
In quanto non vi è nessun valore o nozione che ci può far porre come tipico del processo di formazione delle idee una sorta di razionalità intrinseca ad esse, dobbiamo necessariamente presupporre la razionalità come un solo determinato modo di essere delle idee, il quale può essere riconosciuto, consci del fatto che non esaurisca tutti i modi di formazione delle nostre rappresentazioni mentali. Sicuramente noi abbiamo idee razionali: questo è assodato dal fatto che, nella loro formazione, siamo vincolati a determinati criteri in maniera universale e assoluta, ed essi si rivelano essere gli stessi che noi attribuiamo ad una qualsivoglia ragionevolezza. I principali due vincoli che presiedono alla ragionevolezza sono il riferimento al mondo esterno (in quanto ogni conoscenza dovrà pur riferirsi, dopo esser stata domandata circa il suo scopo, ad un presunto mondo esterno o ad un panorama di impressioni) e il rispetto di regole logico-deduttive (e tale rispetto, soprattutto per quanto attiene alla formazione delle idee deve pur sempre riferirsi al primo criterio già citato). Tali vincoli, assieme ad altri (che per esser conciso non porrò in esame in questa sede) formano delle idee che noi possiamo classificare come ragionevoli. Tale classificazione, seppur si basa su elementi i quali di per sé stessi non costituiscono un valore superiore o altro, può essere giustificata in base alla sempre più presente corrispondenza di tali idee con le impressioni del mondo esterno. Dunque è proprio la riproducibilità nel panorama mentale delle impressioni sensibili che ci danno un criterio per classificare tali idee come ragionevoli.
Tuttavia la violazione di questi due vincoli nel rispetto di altri o del proprio arbitrio non crea nessuna corrispondenza, perciò data questa caratteristica il resto delle idee che si formano senza i criteri esposti precedentemente non possono essere classificabili come ragionevoli, e dunque, per trovare una giusta accezione, possiamo chiamarle mitiche. Le idee mitiche appunto, si rivelano essere idee ingiustificate e qualche volta anche fomentate dalla paranoia (l’assegnazione di significato impazzita che pensa ad un’ossessiva conservazione dell’individuo). Essendo sottoposte all’arbitrio dell’immaginazione umana e ad un’erronea concezione del fine della conoscenza (in quanto non guardano alla corrispondenza, ma al mero piacere estetico dell’uomo o alla loro praticità in un dato contesto) le idee mitiche riproducono il mondo senza leggi logico-deduttive e senza alcun rispetto per una corrispondenza con il panorama delle impressioni. Possiamo ravvisare una loro determinata giustificazione per quanto attiene ai primi tempi dell’umanità: difatti, in quella che era una coscienza pressoché ridotta, non si poteva minimamente pretendere un rigore scientifico e conoscitivo come quello odierno, e dunque il mito si poneva innanzi alla formazione del mondo, generando dei, creature, forze mistiche e qualsiasi elemento ben condizionato dall’immaginazione che potesse servire alla conservazione umana.
Per quanto attiene ai tempi odierni la ricusa di queste idee, però, non è da attuare in modo categorico: ciò in quanto abbiamo comunque la prova che in determinati contesti le idee mitiche possono servire sia per il semplice fatto che l’essere umano, nonostante egli debba tendere ad un fine razionale il più possibile, è impossibilitato ad immagazzinare nella sua memoria di lavoro solo delle idee ragionevoli, che (per quanto attiene a determinati soggetti) per casi in cui è necessario l’apporto del sostrato mitico in quanto è impossibile possedere ragionevolezza alcuna (il primo accidentalmente riprodurrà idee mitiche che tuttavia avranno una attinenza di qualche sorta con la realtà).
Ma torniamo ai casi in cui si può avere una formazione ragionevole delle idee: qui occorre indagare l’effetto della compresenza di tali tipologie di idee, il quale si traduce inevitabilmente in una subordinazione di un tipo di schema mentale verso un altro. Tale posizione è giustificata dal semplice fatto che nella memoria di lavoro si ha un’interconnessione delle rappresentazioni mentali, ed è necessario presupporre una sorta di prevalenza di un fattore rispetto ad un altro in una qualsiasi interazione tra idee, dal momento che la mente umana è, per così dire, una contrapposizione di forze contrastanti (e poiché forse il sogno di una mediazione razionale perfetta è cosa ancora da porre ben in esame!). Oltretutto la contrapposizione che si vuole prendere in esame è tale in quanto un determinato tipo di elemento cerca di subordinare ai suoi processi un altro, dunque si tratta di processi mentali che interagiscono tra di loro agonisticamente.
Prendiamo spunto dalla possibile prevalenza di un’idea della ragione su un’idea mitica: in questo caso il mito è asservito alla ragione, l’idea ragionevole porta direttamente alla messa in discussione e alla riforma dell’idea mitica secondo quelli che sono i suoi parametri; dunque si avrà sempre un elemento mitico, o che comunque attinge dall’arbitrio umano, ma che tuttavia sarà accordato con i vincoli esposti precedentemente. Ma poniamo il caso inverso: poniamo il caso nel quale si ha un’idea ragionevole che è totalmente asservita ad un’idea mitica, dunque la seconda sfrutta la prima, e questo avviene sotto la spinta dell’esigenza di una giustificazione razionale dell’arbitrio umano (quest’ultimo produttore le idee mitiche). Però ora non si può presupporre un rapporto di subordinazione inverso rispetto al primo caso preso in esame, e ciò perché, qualora si subordinasse un’idea mitica ad un’idea ragionevole si subordinerebbero comunque alla prima determinati vincoli (contenuti in un’altra idea), e la subordinazione di vincoli a sé non è altro che il rispetto di tali vincoli: se io sfrutto tali vincoli, io mi devo pur sottoporre a loro. Oltretutto (per principio di coerenza, il quale è una caratteristica insita nella giustificazione di qualcosa) se un’idea mitica subordina un’idea di ragione dovrà pur ammettere l’idea di ragione nella sua interezza, dunque dovrà ammettere anche i vincoli con i quali essa stessa è creata, e perciò si dovranno riconoscere quei vincoli ed applicarli all’idea mitica (per coerenza, per l’appunto).
Comprendiamo dunque che, se si cerca di giustificare l’idea mitica tramite un’idea ragionevole contenente vincoli di quest’ultimo tipo, la prima, qualora non sarà stata formata in rispetto di tali criteri, necessariamente si metterà al muro da sé stessa: si riformerà in base a quei vincoli che la ragione impone altrove. Insomma, l’idea ragionevole pur se subordinata sa elevarsi e sconfiggere l’arbitrio di giustificare l’idea mitica, facendo sì che le sue leggi vengano rispettate.
Lo scontro tra mito e ragione si articola secondo la subordinazione di idee – ovvero elementi che si frappongono tra il soggetto e le impressioni esperite – e le idee ragionevoli, in relazione alla necessità delle idee mitiche di giustificarsi in modo razionale, prevarranno su quest’ultime in quanto esse dovranno ammettere nella loro giustificazione le prime. Allora tali idee, in quanto contengono in sé la corrispondenza con le impressioni, costringeranno le favole dell’uomo e i suoi racconti cosmogonici ad adattarsi ai criteri logici della loro formazione, trasformandoli in elementi totalmente diversi nella loro essenza da quello che è stata la loro formazione originaria.
@ILLUS. by JOHNNY PARADISE SWAGGER, 2024