L’UNIVERSALE SINGOLARE: L’ULTIMO SARTRE TRA ESISTENZIALISMO E MARXISMO

Rottura traumatica del guscio serrato che chiude e circoscrive quel beau petit atome che è l’individuo, la scoperta della storia fa irruzione nel pensiero sartriano in maniera sconvolgente, forte e diretta, drammatica e traumatica: l’esperienza della guerra, «la guerre m’a ouvert les yeux», confessa Sartre.
Dal soggetto «solo e senza scuse» de L’essere e il nulla, dal pour-soi che per il solo sguardo dell’Altro si salva dalla radicalità del solipsismo, dalla libertà quasi totalmente incondizionata dell’uomo capace di creare ex nihilo i propri valori, Sartre, nell’ultimo ventennio della sua produzione, rivede le proprie posizioni, le modifica, le varia, le rielabora, ed integra ad esse i contributi di un marxismo visto con la lente dell’esistenzialismo. Si tratta, insomma, di operare la sintesi tra una filosofia dell’esperienza individuale della vita e una filosofia della materialità oggettiva del divenire storico, immergendo, dunque, le categorie esistenzialiste nella datità della storia e della società, di una collettività oggettiva da cui il soggetto non può in alcun modo fuggire. E tuttavia, ciò non deve – nelle intenzioni di Sartre – condurre a un determinismo sociale, che annullerebbe ogni progettualità e trascendenza del soggetto, cioè annullerebbe la componente stessa dell’esistenzialismo: la libertà umana. Effettivamente, quando Sartre parla di «scoperta della storia», non intende tanto la constatazione di un meccanismo deterministico che ingabbia gli individui, quanto, piuttosto, la presenza inaggirabile di una dimensione intersoggettiva e collettiva, una dimensione sociale che non si configura più come rapporto tra due individualità, cioè come incontro, impatto tra due pour-soi, tra due soggettività che si gettano addosso, reciprocamente, il proprio pietrificante sguardo di Medusa, ma come immersione del singolo, della vita, dell’esistenza particolare e individuale in una globalità universale e organica.
È a partire da quest’idea, dunque, che Sartre elabora e, nella Critica della ragion dialettica sistematizza, una nuova e rinnovata descrizione e concezione della condizione umana, dell’esistenza umana: se in una fase precedente del suo pensiero, in una fase più ontologico-fenomenologica che storico-marxista, l’uomo era pensato come singolo, creatore libero e incondizionato della sua propria esistenza, dove l’incontro con l’Altro si configurava comunque come un incontro tra singoli, ora, invece, l’uomo è pensato nell’accezione di «universel singulier». Ed è proprio nel concetto di universale singolare che risiede il nucleo della svolta sartriana, perché è nell’universale singolare che coabitano e coesistono, da un lato, cioè dal lato del singolare, la particolarità individuale del soggetto, e, dall’altro, dal lato dell’universale, la storia in quanto materialità oggettiva che include in sé il singolo.
Soggetto e oggetto, interiorità ed esteriorità, progettualità libera e determinazione condizionata cessano, allora, di essere considerati in un rapporto di antinomica ed antitetica conflittualità, per entrare in una relazione di interazione reciproca, bidirezionale: l’universale, ossia la storia, segna, marca, influenza il singolo, il quale singolo, proprio attraverso l’interiorizzazione e soggettivazione dei condizionamenti esteriori, agisce a sua volta sulla collettività, su un’universalità già data, di cui partecipa e a cui partecipa, inscrivendo il proprio progetto esistenziale all’interno di una situazione, ossia in un insieme dato di condizioni storiche, sociali, spaziali, temporali, oggettivamente e materialmente presenti.
In questo senso, dunque, l’universale singolare riceve dalla società e dal tempo le condizioni limite della propria trascendenza progettuale, cioè riceve dalla storia la condizione, la situazione, il contesto in cui agire, per poi, attraverso un movimento di appropriazione e soggettivazione di questi limiti già dati, a partire da queste condizioni universali adattate al particolare, elaborare e mettere, allora, in atto il proprio progetto esistenziale, esteriorizzando, dunque, quelle stesse qualità ricevute dalla collettività. Notiamo, pertanto, che l’universale singolare si configura come il frutto di un continuo e bidirezionale processo di interiorizzazione dell’esteriore ed esteriorizzazione dell’interiore: l’uomo, insomma, né bruta cosa né pura coscienza, è il medium che permette l’interazione tra due sfere che, altrimenti, escluderebbero, per dualismo dicotomico, ogni forma di comunicazione. E il modo d’essere dell’uomo in quanto universale singolare è quello della praxis, intesa come azione che, da un lato, racchiude in sé l’influenza storico-sociale della struttura in cui è immersa e, dall’altro, esprime l’istanza progettuale e singolare dell’individuo, agendo sulla quella stessa struttura di cui aveva subito primariamente l’influenza.
Vediamo, a questo punto delinearsi la prospettiva sartriana di sottrarre il marxismo a un meccanicismo che ne causa la “sclerosi” e “l’intorpidimento”, per restituirgli tutto l’umanismo di cui, originariamente, era impregnato. Se, insomma, il marxismo può essere variamente considerato come in bilico tra umanismo e naturalismo, obiettivo di Sartre è quello di proporne una declinazione nettamente umanistica, di mostrare che, in fondo, il marxismo è un umanismo, grazie alla mediazione dell’esistenzialismo. E nel contempo, questa elaborazione del marxismo permette di rinnovare l’esistenzialismo stesso, perché a rinnovarsi è il concetto stesso di esistenza: non più condizione di un soggetto autonomo ed introflesso, bensì modo d’essere di un individuo estrovertito ed estroflesso, aperto all’Altro nel senso collettivo e sociale del termine, parte di un gruppo che, per organicità e integrazione, si oppone all’atomismo alienato proprio della serie.
Se la “serie”, infatti, è un insieme accidentale e anonimo di individui raggruppati per ragioni affatto estrinseche e casuali, cioè un insieme di individui che si trovano uniti senza un particolare scopo comune (celebre è l’esempio dei passeggeri alla fermata di un autobus, che esprimono un’umanità seriale), al contrario, il “gruppo” è la maniera d’essere di una collettività organica e organizzata, i cui membri sono legati e uniti da caratteristiche e scopi comuni; in altri termini, se nella serie l’individuo non è che un atomo isolato dagli altri atomi che, altrettanto alienati, si trovano casualmente ravvicinati, al contrario, il gruppo è ciò che permette all’individuo, al singolo di diventare autenticamente un “universale singolare”.
È grazie al rinnovamento del marxismo e dell’esistenzialismo che, in fondo, per la sua ricchezza, profondità e portata storica, la filosofia dell’ultimo Sartre acquisisce un’importanza fondamentale: un testo come la Critica della ragion dialettica ci rivela tutta la sensibilità intellettuale di un filosofo capace di rivedere le proprie posizioni senza rinnegarle e di un pensatore straordinariamente abile a leggere il proprio tempo e la propria epoca. Mai distante dal reale e tuttavia mai passivamente conforme ad esso, è come se ora Sartre, pur sempre nel mantenimento di un petit décalage critico e lucido nei rispetti dell’Altro e della storia, anzi engagé in questa stessa storia, impegnato, compreso, immerso nella contemporaneità e nel divenire storico, mai assolutizzato né totalizzato, bensì, profondamente e radicalmente, umanizzato, dopo aver affermato che l’esistenzialismo è un umanismo, volesse andare oltre, ed affermare che, in verità, anche il marxismo è un umanismo.
@ILLUS. by MAGUDA FLAZZIDE, 2020