PSICOLOGIA EVOLUZIONISTICA: SFIDE E PROSPETTIVE
Estratto di Matteo Bedetti, La mente preistorica: Indagine epistemologica sulla psicologia evoluzionistica, Mimesis, Milano-Udine 2025.
In sintesi, si potrebbe affermare che la principale carenza della psicologia evoluzionistica risieda nel fatto che è rimasta ancorata a un’immagine della biologia ormai superata da qualche decennio. Mentre la biologia si è evoluta, ampliando gli strumenti teorici disponibili (come la costruzione di nicchia e la coevoluzione geni-cultura) e riconoscendo l’importanza di fattori diversi dalla selezione naturale (come i vincoli strutturali, lo sviluppo e il ruolo del caso), la psicologia evoluzionistica ha continuato a basarsi quasi esclusivamente sui lavori di pochi biologi del secolo scorso (Trivers, Hamilton, Williams, Dawkins). Questo, chiaramente, non ha giovato alla disciplina, come sottolineato anche da Laland e Brown (2011) e altri autori. Se la psicologia evoluzionistica doveva essere un matrimonio tra psicologia cognitiva e biologia evoluzionistica, sembra che purtroppo il matrimonio sia entrato in crisi a un certo punto.
Qualcosa però tutto sommato è cambiato: c’è una maggiore attenzione verso la possibilità che alcuni dei fenomeni studiati siano sottoprodotti di altri adattamenti e non necessariamente adattamenti a loro volta (anche se siamo ancora pienamente in territorio adattazionista, quasi tutto viene considerato adattamento o sotto-prodotto di un adattamento, non c’è molto spazio per tutti gli altri fattori evolutivi). Come già detto nei capitoli precedenti, l’AAE non viene più identificato necessariamente con la savana africana del Pleistocene, ma a questo concetto viene dato un orizzonte più ampio. Nonostante però la crescente presenza di studi comparativi in psicologia evoluzionistica, questi faticano ancora a farsi strada nelle pubblicazioni più mainstream della disciplina. Gli studi cross culturali sembrano altresì aver preso ulteriormente piede, e c’è una maggior sensibilità nei confronti dei risultati delle discipline vicine alla psicologia evoluzionistica, come l’ecologia comportamentale umana e la coevoluzione geni cultura (vedi anche Cashdan et al. 2021).
È possibile, perciò, riconoscere in questi mutamenti i tentativi della psicologia evoluzionistica di aprirsi ad altre discipline e alle loro acquisizioni più recenti, anche se chiaramente la strada da fare è ancora tanta. Molte caratteristiche della Scuola di Santa Barbara rimangono ancora “arcaiche”, e tutt’oggi vi sono opere e studi di psicologi evoluzionistici che non brillano per la qualità del lavoro scientifico. Infine, nonostante tutte le critiche che sono state rivolte a questa disciplina, bisogna riconoscere a Cosmides e Tooby, e a tutti coloro che sono venuti dopo di loro, il merito di aver tentato per la prima volta di indagare i nostri meccanismi psicologici alla luce dell’evoluzione. Non dobbiamo considerare questo aspetto insignificante. Durante l’intervista, Leda Cosmides ha più volte sottolineato la forte ostilità iniziale degli scienziati sociali nei confronti degli approcci evoluzionistici alla mente umana.
Certamente all’epoca difendere certe idee circa l’applicabilità del pensiero evoluzionistico al dominio delle scienze umane non era affatto semplice. Numerosi personaggi illustri interni alla biologia evoluzionistica, inoltre, sostengono o hanno sostenuto posizioni disfattiste sulla fruttuosità di tale tentativo, a partire da uno dei due scopritori della selezione naturale, Alfred Russell Wallace, il quale nel corso della sua vita adottò una visione spiritualista sull’evoluzione delle facoltà intellettuali umane [Ruse 2008]). Anche l’illustre Richard Lewontin (1990, p.229, trad mia) ha affermato che
Nonostante l’esistenza di una vasta e sviluppatissima teoria matematica dei processi evolutivi in generale, nonostante l’abbondanza di conoscenze sui primati viventi ed estinti, nonostante l’intima conoscenza che abbiamo della fisiologia, della morfologia, della psicologia e dell’organizzazione sociale della nostra stessa specie, non sappiamo essenzialmente nulla dell’evoluzione delle nostre capacità cognitive e c’è una forte possibilità che non ne sapremo mai molto.
E ancora (1998, p. 132, trad. mia):
La storia, e l’evoluzione è una forma di storia, semplicemente non lascia tracce sufficienti, soprattutto quando si tratta delle forze di selezione. La forma e persino il comportamento possono lasciare resti fossili, ma la selezione naturale no. Potrebbe essere interessante sapere come la cognizione (qualunque cosa sia) sia nata, si sia diffusa e sia cambiata, ma non possiamo saperlo. Ma buona fortuna.
Questo scetticismo circa la possibilità di indagare l’evoluzione della cognizione umana viene condiviso anche da altri critici della psicologia evoluzionistica, come Robert Richardson (2007). Non dobbiamo quindi dimenticarci di celebrare il coraggio che hanno avuto gli psicologi evoluzionistici a puntare la luce della torcia dell’evoluzione dentro al buio pesto delle nostre menti. Certo il tentativo è stato (ed è tuttora) imperfetto, ma vi è notevole margine di miglioramento.
…
Sebbene le critiche sollevate nel corso degli anni abbiano messo in luce molte delle sue limitazioni e ne abbiano attaccato quasi ogni aspetto, oggi la psicologia evoluzionistica continua a essere una disciplina dinamica e in evoluzione, ricca di potenzialità. La principale sfida futura sarà quella di integrare le nuove scoperte provenienti da altri campi scientifici e in particolar modo di abbandonare, o perlomeno rivedere, il fervente adattazionismo che la caratterizza. Solo attraverso un dialogo continuo con le altre discipline e un’auto-riflessione critica la psicologia evoluzionistica potrà sperare di realizzare appieno il suo potenziale. Il cammino è ancora lungo, ma in fondo questo libro dovrebbe aver dimostrato che vi sono ragioni di essere ottimisti: le nostre menti non sono vecchi cimeli paleolitici che annaspano in un mondo moderno, ma organi incredibilmente avanzati, in grado di tenere il passo della rapida evoluzione del resto del mondo. Possiamo essere fiduciosi che troveranno un modo per studiare persino la loro stessa evoluzione.
@ILLUS. by FRANCENSTEIN, 2025
LA MENTE PREISTORICA






