REPRESSIONE E PRESTAZIONE: MARCUSE OLTRE FREUD
Pensare con Freud, andando oltre Freud. Non per velleità di neo-freudismo avanguardistico né per relegare Freud ad un universo superato e superabile: non si tratta, insomma, di uccidere il maestro, ma di affermarne l’estrema attualità, proponendone una reinterpretazione contemporanea al corso materiale degli eventi storici e sociali che hanno attraversato, cambiato, scosso il Novecento. E quando Marcuse – nel 1955 – pubblica Eros e civiltà, l’idea freudiana che «la storia dell’uomo [sia] la storia della sua repressione» è lungi dall’essere contraddetta. Da qui parte Marcuse, qui risiede il nucleo della sua meditazione filosofica, sociologica, antropologica e, in fondo, psicoanalitica: pensare la repressione nella società industriale avanzata. Il che equivale a una storicizzazione della repressione stessa, a una visione della repressione – o meglio, di un certo tipo di repressione – non già come fatto naturale, bensì come prodotto di una determinata organizzazione storico-economica.
Se Freud aveva presentato la repressione come sacrificio libidico necessario al vivere collettivo, cioè necessario all’istituzione e alla conservazione della civiltà, Marcuse avverte la necessità, con lo sviluppo dell’estremo capitalismo, di oltrepassare tale posizione. Ma torniamo a Freud, per comprendere meglio l’operazione marcusiana. Secondo il ragionamento freudiano, l’obbedienza totale e incondizionata al principio del piacere, cioè la liberazione della pulsione libidica nella sua intensità più istintuale, impedirebbe la sopravvivenza dell’individuo stesso, condurrebbe all’autodistruzione, poiché impedirebbe il soddisfacimento di bisogni essenziali alla sua conservazione : così, l’introduzione del principio di realtà si rivela necessaria nella misura in cui, regolando un godimento pulsionale che altrimenti sarebbe istintuale e selvaggio, tale principio permette la sopravvivenza dell’individuo all’interno di una collettività che ne richiede un più o meno parziale sacrificio libidico, un differimento della meta pulsionale sotto la forma di una sublimazione socialmente accettata.
Concretamente, la civiltà (leggasi, il sacrificio libidico, cioè l’obbedienza al principio di realtà) è necessaria in quanto permette all’uomo di combattere collettivamente la povertà delle risorse naturali, procurandosi cibo e alimenti necessari alla sua sopravvivenza: così Freud spiega le genesi della civiltà – cioè la genesi della repressione – come processo necessario alla conservazione stessa dell’individuo. Ora, Marcuse, osservando gli effetti dello sviluppo tecnologico-industriale, nota che i bisogni naturali legati alla povertà delle risorse naturali (bisogni il cui soddisfacimento è all’origine – secondo Freud – dell’istituzione stessa di una società collettivamente organizzata e repressiva) hanno ormai perso la loro ragion d’essere:
La scusa della penuria, che ha giustificato dall’inizio della civiltà la repressione istituzionalizzata, si indebolisce man mano che il sapere dell’uomo e la sua dominazione sulla natura aumentano le possibilità di soddisfare i bisogni umani con uno sforzo minimo (traduzione dell’autrice condotta a partire dall’edizione francese di H. Marcuse, Eros et civilisation, traduit de l’anglais par J. G. Nèny et B. Fraenkel, Paris, Les éditions de minuit, 1963) .
Se, dunque, i bisogni essenziali alla sopravvivenza sono facilmente soddisfatti grazie all’aumento delle risorse rese disponibili dal progresso industriale stesso, tuttavia è questo stesso progresso industriale a costituire una nuova e più estrema forma di repressione: una repressione basata non più sul semplice principio di realtà, ma – spiega Marcuse – sul principio di prestazione. Produrre, consumare, produrre ancora: il principio di prestazione rende schiavi di bisogni inesistenti in epoca preindustriale, bisogni in sé non necessari né vitali, e tuttavia resi tali dal sistema prestativo stesso.
Così, introiettando il principio di prestazione imposto dalla società industriale avanzata, l’uomo organizza la propria esistenza conformemente agli imperativi di quest’ultima, conformemente ai suoi modelli comportamentali, estetici, relazionali, accettando tacitamente il nomos del “campo”, direbbe Bourdieu. Il principio di prestazione impone, quindi, un’attitudine esistenziale quantitativa, basata sull’accumulo bulimico e frenetico di merci, prodotti, oggetti: il desiderio viene quantificato, il sapere valutato sul modello prestativo, il lavoro calcolato in ottica produttiva, il piacere quantitativamente misurato. Tutto ciò è all’origine di quella che Marcuse definisce repressione addizionale, una repressione, cioè, fondata sull’obbedienza tacita e incontestata a un principio di prestazione che rende l’esistenza merce tra le merci, un’esistenza ossificata, anestetizzata, monodimensionale, per dirla col Marcuse del 1964.
Se prestazione, consumo e produzione sono i pilastri della repressione addizionale, capiamo, allora, che quest’ultima consiste nel sacrificio di un’esistenza heideggerianamente autentica, nel sacrificio del proprio desiderio personale, del proprio eros in quanto pulsione generatrice, del proprio tempo libero, del proprio progetto individuale, in nome della prestazione, cioè dell’esigenza di essere all’altezza dei modelli che la struttura ci impone. E tutto ciò, nell’illusione di una libertà maggiore e più democratica, che nasconde la repressione per rafforzarla, per impedirne un’autentica e rivoluzionaria contestazione.
Specificatamente, questa repressione addizionale è una forma monopolica e impersonale della repressione tradizionalmente intesa: monopolica, perché detenuta da una sola autorità totalitaria che assume volti apparentemente differenti, e impersonale, poiché le fonti della repressione non sono più degli individui specifici, delle personalità concrete – quali la figura del padre – ma un’entità anonima e impersonale che prende la forma della “amministrazione”, di un sistema meccanico e monopolistico che regola e manipola desideri, pulsioni, bisogni non più individuali ma ormai impersonali. Nella società industriale avanzata, la repressione coincide, quindi, con quella che Marcuse definisce «abolizione tecnologica dell’individuo»; in altri termini, se si ritiene – con Freud – che la repressione sia all’origine della formazione del super-Io, allora una repressione anonima e spersonalizzata non può che generare un super-Io altrettanto anonimo e spersonalizzato: obbediamo tutti agli stessi imperativi, accogliamo tutti gli stessi modelli, schiavi di bisogni standardizzati, serializzati, riprodotti in maniera automatica e meccanica.
In questo modo, dunque, la società industriale avanzata genera una «amputazione libidica» irreparabile: paralizzato in uno «stato di anestesia» generale e generalizzata, l’inconscio stesso sembra subire una manipolazione, un controllo, sembra perdere – ci spiega Marcuse – la capacità di desiderare in maniera autonoma, di avere pulsioni proprie e personali, che vadano al di là del principio di prestazione imposto dalla società. Morto il progetto in senso esistenzialista, è la prestazione che trionfa, ossia il progetto spersonalizzato e standardizzato: in breve, la negazione del progetto stesso.
Per vedere tutti gli articoli di (S)cacciaviti e Ribattini clicca qui
@ILLUS. IN EVIDENZA by KITSCHSTER, 2021
@ILLUS. IN FONDO AL TESTO by FRANCENSTEIN, 2021