DEL CONTRABBANDO: PER UN’ETICA DELL’ATTRAVERSAMENTO DEI MURI

Estratto da Le pietre e il potere. Una critica filosofica dei muri, Mimesis, Milano-Udine 2020, di Ernesto Sferrazza Papa
APPENDICE
L’ARTE DEL CONTRABBANDO. Per una politica dell’attraversamento
In memoria di Egidio Tiraborrelli
Un muro è la materializzazione di un confine, ossia la pretesa politica di impedirne l’attraversamento sfruttando la pesantezza e l’ottusità della materia. Il muro trasforma il confine da zona di transito in oggetto di inibizione. Negando l’accesso, definisce una gerarchia tra le due parti. Le relazioni di potere e una precisa gerarchia morale si trovano così spazializzate e materialmente incise nello spazio.
Per quanto possa essere maestoso, per quanto possa essere sorvegliato, nessun muro è immune da brecce, pori, punti deboli, zone d’ombra. Il muro, questa è stata una tesi sostenuta nel saggio, pretende di inibire il passaggio, ma al più produce un rallentamento e un’organizzazione dei flussi. La questione critico-politica diventa, allora, come attraversarlo, come sfruttare queste debolezze dell’oggetto.
La storia delle piccole ruberie, degli sgambetti alla legge, ha come protagonista indiscusso la figura del contrabbandiere. Il contrabbandiere è colui che trasporta merci proibite da un lato all’altro di un confine. Eroe dell’economia informale, egli agisce contra bannum: sfida il divieto. L’abilità del contrabbandiere consiste in un’arte dell’attraversamento che tiene insieme un sapere tecnico-pratico e un dominio epistemologico. Le due dimensioni sono profondamente connesse. La conoscenza analitica del suo avversario permette al buon contrabbandiere di portare a termine la sua furfanteria. La cinematografia sul tema è concorde nel rappresentare il contrabbandiere come colui che conosce la frontiera meglio del doganiere e dell’apparato poliziesco che la sorvegliano. Padroneggia con maestria l’arte della sua negazione. Con ogni sorta di stratagemma sfida la frontiera e il pesante apparato di potere che la governa ridicolizzandoli, mettendone a nudo le falle, esibendone le debolezze. Conosce a memoria il cambio di guardia, ha studiato e appreso le abitudini dei sorveglianti. A partire da questo complesso di dati a disposizione esercita la sua sfida al monopolio economico sul commercio stabilito dal potere sovrano. Grazie a questo sapere tecnico, resiste al potere che ha nella frontiera il suo mezzo specifico.
Non si tratta ovviamente di tessere l’elogio di questa ambigua figura del commercio clandestino, ma di svelarne il potenziale politico, la sua capacità di resistenza nei confronti delle mefitiche logiche che il nostro tempo ci ha consegnato. Tale potenziale politico è racchiuso nel dominio della tecnica di attraversamento. Bisogna essere consapevoli del fatto che quando questa tecnica non è padroneggiata adeguatamente, le conseguenze del suo ricorso sono tragiche. Oggigiorno, l’equivalente del contrabbandiere scoperto e arrestato è il migrante che si avventura scalzo per i sentieri montani tentando di sfidare l’interdizione della frontiera, e su quelle montagne muore. E non c’è davvero nulla di casuale in queste morti, che sono la diretta conseguenza delle politiche di barricamento che gli Stati propongono ai propri cittadini come cambiali di sicurezza. La domanda sul che cosa fare interroga tutti coloro che non cedono all’anestetizzazione morale che la logica securitaria pre- tende e necessita d’imporre. Se i muri sono la concrezione materiale di una logica necropolitica dell’esclusione, di una illegittima discriminazione morale, di una violazione del diritto all’accesso a condizioni di vita dignitose, vera e propria bancarotta morale e politica del nostro tempo e delle sue logiche, tutto fa pensare che la sfida politica si compendi oggigiorno in due azioni: la distruzione dei muri o il loro scavallamento.
La prima opzione sembra al momento poco più di un desiderio utopico, che può in ogni caso avverarsi solo attraverso canali ufficiali, istituzionali e diplomatici. E, anche laddove dovesse verifi- carsi questa teicoclastia, abbiamo visto che il muro si accompagna all’ecosistema venutosi a formare intorno ad esso: la distruzione del primo implica quella del secondo. Se si assume il principio per cui per valutare l’eticità di un’azione è necessario valutarne anche le implicazioni ecologiche, l’ipotesi teicoclastica non è immune da criticità e implica quantomeno una capacità di analisi dell’impatto ambientale delle teicopolitiche, di cui al momento sia l’opinione pubblica sia la comunità scientifica difettano. In attesa che una maggiore sensibilità sul tema si diffonda, e che gli Stati decidano di cessare di amplificare a dismisura le asimmetrie già all’opera, è doveroso indagare i mezzi per realizzare la seconda.
Non si può ovviamente pretendere che quest’arte propria del contrabbandiere sia nelle mani della massa di disperati che si accalca contro i muri che oggigiorno striano e articolano lo spazio statale. Questa appendice è dunque un appello. È necessario un impegno civile, una “disobbedienza civile”, che argini il dramma migratorio laddove le logiche dell’autodeterminazione statale mostrano una faccia infernale. E laddove, ovviamente, questa possibilità di disobbedire sia materialmente perseguibile.
L’arte dell’attraversamento della frontiera non è stata storicamente perseguita solamente da contrabbandieri e piccoli furfanti, ma anche da individui che hanno messo a repentaglio la propria vita e la propria libertà per permettere a svantaggiati di approdare in zone maggiormente sicure. Qualunque storia di persecuzione è costellata di questi eroi silenziosi e senza volto che hanno nascosto e protetto ebrei, zingari, persone di colore, omosessuali, permettendone la fuga, nascondendoli, sottraendoli a un destino mefitico; o che un volto lo hanno ricevuto – veri e propri “infami” nel senso foucaultiano de La via des hommes infâmes, quei “senza voce” la cui fama coincide con l’infamia – solo una volta passati sotto le grinfie del diritto positivo. Ma il vero “eroe”, ci ricorda Hegel nei suoi Lineamenti di filosofia del diritto, agisce contro le leggi dello Stato, e solo a posteriori sarà possibile riscattarne la nomea criminale. Era un furfante per il suo tempo, sarà un eroe per i posteri: il “diritto assoluto dell’eroe” è in contraddizione con il diritto positivo dello Stato[1].
Queste azioni di contrabbando vanno sotto l’etichetta di “disobbedienza civile”: una obbedienza di “secondo livello”, ossia una pratica dichiaratamente politica che disobbedisce al diritto vigente per obbedire a una legge più alta. Certo: si potrà notare, com’è stato fatto, che qualsiasi forma di disobbedienza civile rimane interna alle logiche contro le quali si scaglia, perché mira a sabotarle senza metterle radicalmente in discussione[2]. Questo è senza dubbio vero, e forse si corre davvero il rischio di fare come il Barone di Münchausen, che si tira fuori dal pozzo sollevandosi per il bavero. Ma anche laddove le attuali teicopolitiche non vengono scardinate e revocate in toto, salvare vite sfidando quelle leggi che le mettono a repentaglio non può essere considerato eticamente irrilevante. Si tratta, certo, di un dovere supererogatorio, di un dovere oltre il dovere, ossia di un dovere etico che non può essere richiesto (è anzi contrario al diritto positivo) e che possiamo solo sperare che qualcuno raccolga e faccia proprio.
L’arte dell’attraversare, il contrabbando del proprio corpo, con i suoi desideri di migliori libertà e le sue aspirazioni di vita degna, da un lato all’altro del confine, riposa su concezioni etiche e politiche che rifiutano, di fronte all’extremus necessitatis casus, quel diritto positivo che stabilisce la frontiera come zona interdetta, e in nome di questo rifiuto reclama una superiore etica della dignità umana, o spesso della mera sopravvivenza della vita.
Quando l’umanità viene derisa e offesa, quando i campi d’internamento sparsi qua e là per l’Europa e per il mondo, democraticamente definiti “campi di prima accoglienza” – parola nobile che ha ormai il sapore di una mela avvelenata –, con le loro cortine di filo spinato e i loro responsabili di polizia, si rivelano spazi dove il diritto a una buona vita viene a tempo indeterminato messo tra parentesi, allora il fine prevale necessariamente sul mezzo, e l’unica cosa che conta è attraversare quei muri che separano l’umanità degna da quella che qualcuno ha deciso, in un gesto sovrano che decide le vite degli altri, essere immeritevole:
passare. Passare a ogni costo. Piuttosto crepare che non passa- re. Passare per non morire in questo territorio maledetto e nella sua guerra civile. Essere fuggito, aver perduto tutto. Passare per tentare di vivere qui dove la guerra è meno crudele. Passare per vivere come soggetti del diritto, come semplici cittadini. Poco importa il paese, purché sia uno Stato di diritto. Passare dunque per cessare di essere fuori dalla legge comune. Passare per sentirsi protetti dalle conven- zioni internazionali, dai diritti umani, da una giustizia di fronte alla quale nessun crimine resterà impunito. E pagare un contrabbandie- re, un brigante, se è necessario per passare: diventare un fuorilegge. Prendere questa decisione, anche se con la paura nello stomaco, an- che se con la paura terribile per la propria vita, per quella dei bambi- ni. In ogni caso: passare per vivere[1].
Jean Marais, Le Passe-Muraille, 1989, Montmartre (Paris)
[1] “L’autocoscienza eroica […] non ha ancora proceduto dalla sua compattezza alla riflessione sulla differenza tra fatto e azione, tra l’avvenimento esteriore e il proponimento e sapere delle circostanze, così come alla frammentazi- one delle conseguenze, sibbene assume su di sé la responsabilità nell’intera estensione del fatto” (G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, cit., 103). Si veda sul tema il denso studio di Carla Cordua, Los derechos del individuo en el estado de Hegel, in Ead., Estudios sobre Hegel, Ediciones Universidad Diego Portales, Santiago de Chile 2019.
[2] Per una critica delle pratiche di “disobbedienza civile” cfr. R. Laudani, Disobbedienza, il Mulino, Bologna 2011.
[1] G. Didi-Huberman, N. Giannari, op. cit., pp. 33-34.
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@PHOTO IN FONDO ALL’ARTICOLO by ERNESTO SFERRAZZA PAPA
LE PIETRE E IL POTERE. Una critica filosofica dei muri