DIALOGO CON MAURIZIO FERRARIS
Interrogarsi su che cosa si faccia quando si fa filosofia non è mai ozioso: consente di avere una maggiore coscienza del proprio impegno e al contempo pone coordinate entro le quali operare. Sotto questa luce, la filosofia si rinnova continuamente.
Questo dialogo tra Simone Vaccaro e Maurizio Ferraris, nato a partire dalla partecipazione del professore alla rassegna culturale Passertout 2022: Fragile Occidente tenutasi lo scorso giugno ad Asti, è proseguito con l’invio di domande tramite mail che potessero mettere in luce alcuni aspetti della filosofia sviluppata negli ultimi anni dal docente dell’ateneo torinese.
Simone: La svolta che ha impresso il Nuovo Realismo (ontologia = ciò che c’è; epistemologia = ciò che sappiamo) può essere letta come una difesa del senso comune, dell’esperienza preriflessiva (si pensi all’esergo iniziale del Manifesto del Nuovo Realismo) dopo la sbornia costruzionista e culturalista del cosiddetto post-modernismo?
Prof. Ferraris: Non è tanto una difesa del senso comune, quanto piuttosto della filosofia, che spesso cerca le proprie patenti di nobiltà nella sfida del senso comune, per poi magari trovarsi a convergere con il senso comune della peggior lega. Penso, in particolare, al ruolo che alcuni filosofi hanno svolto nel corso della pandemia. Venivano da Heidegger e dalla sua concezione aristocratica del pensiero, e si sono trovati ad appoggiare un atteggiamento plebeo come quello dei no vax. A ben vedere, però, anche Heidegger ha appoggiato un atteggiamento plebeo, il nazismo. Ma c’è del metodo in questa follia: il costruzionismo dà un potere enorme ai filosofi, perché se il mondo è frutto dei nostri schemi concettuali allora i padroni del mondo sono i professionisti degli schemi concettuali. Si forma così l’immagine del filosofo re (sia pure di un reame immaginario), ma visto che regnare piace un po’ a tutti il costruzionismo si diffonde a cascata e alla fine il mondo intero è convinto di essere Napoleone. Il postmoderno è stato un po’ questo.
Simone: Concentrarsi su di una ontologia catalogica che faccia l’inventario di ciò che c’è, non potrebbe configurarsi come l’affermazione dell’impossibilità stessa dell’ontologia (data l’impossibilità di chiudere il cerchio catalogico) tutto a vantaggio di molteplici ontologie regionali?
Prof. Ferraris: Ciò che intendevo, nel 2009, con “catalogo del mondo” è solo la premessa a delle ermeneutiche davvero efficaci, a delle interpretazioni del mondo che sappiano che un conto è avere a che fare con degli oggetti naturali, un altro avere a che fare con degli oggetti sociali. Direi dunque: una ontologia fondamentale, un catalogo del mondo, come premessa non a delle ontologie regionali, ma a delle ermeneutiche speciali, di cui abbiamo un enorme bisogno adesso, nel momento in cui il mondo è invaso dai dati. Sinora, a interpretare questi dati, ci hanno pensato le grandi piattaforme, ovviamente a proprio vantaggio. Ma dal momento che nulla vieta che dei corpi intermedi, per esempio delle università, si impegnino nella interpretazione dei dati per scopi umanistici e non commerciali, c’è bisogno più che mai di una rinnovata ermeneutica all’interno di un quadro ontologico ben definito. È lo spirito che anima Scienza Nuova, l’istituto di studi avanzati che dirigo e che unisce l’Università e il Politecnico per comprendere il mondo digitale e per restituire all’umanità l’enorme patrimonio che produce in ogni momento sul Web.
Simone: Ha dedicato molteplici studi (da Documentalità a Documanità) alla natura del documento e alla necessità per l’uomo di lasciare tracce: si potrebbe affermare che la sua antropologia abbia una impronta burocratica?
Prof. Ferraris: Direi piuttosto che la burocrazia ha una impronta antropologica, altrimenti non si spiegherebbe come mai, benché tutti, a partire dai burocrati, sostengano che la burocrazia è noiosa, della burocrazia non si riesce a fare a meno, dai tempi delle tavolette con scrittura cuneiforme sino ai nostri telefonini, che sono degli immani apparati burocratici e lo sono diventati non perché qualche burocrate abbia deciso che così doveva essere, ma perché l’umanità intera, scegliendo di adoperarli come macchine per scrivere e per registrare invece che come macchine per parlare, li ha trasformati in apparati burocratici tascabili.
Simone: A partire da Scienza Nuova a da Documanità affronta la questione riguardante le nuove tecnologie e le loro implicazioni globali: compito della filosofia è quello di presentarsi come istanza critico-descrittiva oppure come pungolo critico-prescrittivo?
Prof. Ferraris: Né l’una né l’altra, almeno per me. Quando Platone ha scritto la Repubblica, Hegel la Fenomenologia dello spirito, o Marx Il capitale non credo si chiedessero: “voglio fare il descrittore o il prescrittore, fermo restando che, come filosofo, tutti si immaginano che comunque vada mi atteggerò a critico?”. Per me la filosofia incontra un mondo nuovo, nel mio caso il digitale, nel caso dei miei ben più illustri colleghi la democrazia, la scienza moderna o l’industria, e prova a dargli una forma, fondata su princìpi e argomenti, e che proprio per questa ricerca di fondamenti e argomenti può risultare spiazzante. Sparta ha sconfitto Atene e i trenta tiranni hanno ucciso Socrate, dunque la democrazia ateniese ha dimostrato tutti i suoi limiti: che alternative si possono trovare guardando al cielo delle idee invece che alla storia di ciò che è accaduto, come ha fatto Tucidide? L’alleanza tra scienza e rivoluzione ha cambiato il mondo e lo ha fatto vacillare, siamo in grado di capire concettualmente il nostro tempo, a beneficio di tutti, invece che di volgere la situazione a nostro vantaggio, come ha fatto Napoleone? Milioni di persone hanno lasciato i campi e lavorano in fabbriche in condizioni degradate, ma ciò che producono e frustiamo, è la più grande realizzazione dell’umanità sino a oggi, l’industria e il capitale che ne deriva; siamo in grado di capire la struttura di questo capitale, invece che limitarsi a criticarlo scrivendo una filosofia della miseria come Proudhon? C’è un nuovo enorme capitale, costituito dai dati, riusciamo a restituire questo patrimonio dell’umanità all’umanità che l’ha prodotto, o vogliamo limitarci a biasimare la cattiveria delle piattaforme, come fa mezzo modo?
Simone: Proviamo ora a riflettere sul ruolo del filosofo nella nostra contemporaneità: pienamente inserito nel girotondo transmediale (comparsate televisive, carta stampata, video YouTube, interviste su blog…), quale posizione può assumere all’interno della società?
Prof. Ferraris: La stessa che occupava con altri media, per esempio i libri o gli articoli mandati alle accademie, o le lettere a corrispondenti illustri o meno. Con il vantaggio che oggi le idee possono circolare molto di più che un tempo, e che, rispetto agli ultimi due secoli, si sta superando l’identificazione esclusiva del filosofo con il professore. Non sta scritto da nessuna parte che il filosofo sia un professore che parla solo di altri filosofi, non è stato così per millenni, non sarà più così in futuro, o almeno così spero che sia.
Simone: Un’ultima curiosità: secondo lei è possibile divulgare la filosofia? Non si correrebbe il rischio di divulgarne solamente contenuti preconfezionati (teoria Y del filosofo X)?
Prof. Ferraris: Direi che solo ciò che può essere divulgato è una teoria: Aristotele pensa che la sostanza sia un sinolo di materia e forma, Nietzsche che l’essenza del mondo sia volontà di potenza, e così via. Adesso, con un esperimento mentale, pensi a un po’ di filosofi X e si chieda se è possibile attribuire loro delle teorie Y (beninteso, che siano farina del loro sacco). Se sì, sono dei filosofi, se no, non lo sono.
Maurizio Ferraris – Università di Torino, dipartimento di Filosofia e Scienza dell’Educazione
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@ILLUS. by KITSCHSTER, 2022
“…una ontologia fondamentale, un catalogo del mondo…”
In che senso l’ontologia fondamentale sarebbe un catalogo del mondo? A fondamento del mondo cosa c’è? Le particelle fondamentali (i molti) o l’Anima (l’Uno)?
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“…c’è del metodo in questa follia: il costruzionismo dà un potere enorme ai filosofi, perché se il mondo è frutto dei nostri schemi concettuali allora i padroni del mondo sono i professionisti degli schemi concettuali. Si forma così l’immagine del filosofo re…”
Ma non è il contrario? Il costruzionista (ossia il nominalista) dice di non poter pervenire alle cose in sé, alle categorie reali, o addirittura che nn ci siano (perché tutto è Uno). Quindi dice che le categorie che noi usiamo sono convenzioni. Quindi chi è che vuole essere padrone? Quello che vuole fare il re e dettare legge? Quello che dice che le cose, le categorie, le leggi sono convenzioni, sempre negoziabili perché negoziali, o chi dice di conoscere le cose reali, che sono così oggettivamente e quindi non negoziabili, escludendo così a priori le interpretazioni alternative?
I filosofi saranno professionisti della negoziazione, ma chi dice di conoscere le vere categorie è uno che non vuole scendere a compromessi…