FEDE DELLA LOGICA E LOGICA DELLA FEDE: ABELARDO CONTRO SAN BERNARDO
È una calda giornata di giugno. Siamo nell’anno del Signore MCXL. Sens è un centro urbano borgognone colorito e brulicante, come lo sono in generale le città in questa nostra vivace epoca. Viandanti, mercanti e uomini di Chiesa si affannano per le vie della città, costeggiando il cantiere della cattedrale in costruzione. Si tratterà, a quanto dicono, di un edificio di grande bellezza, realizzato con uno stile artistico all’avanguardia.
Oggi, tuttavia, l’attenzione della cittadinanza è quasi interamente assorbito dal concilio che si terrà a breve. In molti si sono riversati qui per assistere a quello che si preannuncia come un confronto epocale. Confesso di essere presente oggi per la stessa ragione. A presiedere il concilio sarà nientemeno che Bernardo, l’abate di Chiaravalle. Sebbene la sua fama sia legata principalmente all’esercizio mistico, tutti sanno quanto profondo e tentacolare sia il suo ascendente sugli alti ranghi della cristianità. Pare che lo stesso Innocenzo II debba la sua nomina a Papa alla sua – chi può dire quanto disinteressata – amicizia con l’illustre abate. Non esagero dicendo che si tratta probabilmente di uno degli uomini più potenti e influenti del nostro tempo.
Ciononostante, il fascino che esercita sul pubblico la sua controparte non sembra essere da meno, seppur per ben diverse ragioni. Pietro Abelardo è stato ripetutamente sulla bocca di tutti nel corso degli ultimi decenni. La sua carriera accademica è stata costellata da grandi successi e non gli si farebbe un torto a descriverlo come una specie di combattente della filosofia. Da sempre, infatti, ha condotto una serrata lotta per la difesa delle sue idee, sfidando e contestando le pur autorevoli tesi di coloro che in precedenza furono i suoi maestri. Roscellino e Guglielmo di Champeaux non sono che le sue più illustri vittime.
Maestro Pietro è quello che si dice un dialettico, un cultore della scienza logica. I dialettici sostengono che la ragione non sia affatto nemica della nostra fede in Cristo, ma che anzi ne sia parte integrante. Su questo Abelardo non ha mai avuto dubbi per almeno un paio di – a suo dire – ottimi motivi. Innanzitutto, è più facile credere a ciò che si comprende, e la ragione è lo strumento principale che Dio ha messo a disposizione all’uomo per aiutarlo in tal senso. Secondariamente, non esistono scienze malvagie, poiché il male deriva dall’uso che di una scienza si fa e anche la scienza che si occupa specificamente di indagare il male offre un sicuro beneficio al suo cultore: comprendere il male è il modo migliore per imparare a evitarlo. E dunque la logica, la più importante delle scienze, colei che fonda tutti gli altri saperi, agli occhi del Maestro è quanto di migliore e più nobile l’uomo possa coltivare. La sua è una fede della e nella logica.
Nutro una sincera ammirazione per questo gigante del pensiero che a breve si presenterà al cospetto del concilio.
L’opinione degli uomini che lo presiederanno e che costituiranno la parte avversa al filosofo, invece, è assai meno accomodante.
Bernardo di Chiaravalle è il tipo d’uomo in assoluto più distante e refrattario alla logica abelardiana. Anzi, a dirla tutta lo è nei riguardi della logica tout court. Non penso esista qualcuno di più antidialettico. Bernardo ha fondato la propria autorità sul rispetto e l’osservanza dottrinale dei Testi. Per lui la parola di Dio non ha bisogno d’interpretazione, men che meno di riletture sulla scorta della logica raziocinante. Dio parla, l’uomo ascolta e obbedisce. Cosa può, di fronte al grande mistero di Dio, la misera ragione? Cos’è mai questa logica pretenziosa dinnanzi al fonte di ogni vera conoscenza? La mistica è abbandonarsi al Verbo, non pretendere di sezionarlo con gli spuntati strumenti della nostra stolida mente. Che i dialettici continuino pure a rompersi la testa sulle loro astruse questioni filosofiche. Finché si tratta della disputa sugli universali nessuno ne avrà troppo a male, ma stiano lontani dagli articoli della fede cristiana.
E in effetti pare sia stato proprio questo, agli occhi dell’abate, l’errore capitale di Pietro Abelardo. Il grande logico, dopo la tristemente nota faccenda di Eloisa, ha infatti esteso l’orizzonte dei suoi interessi anche alla teologia, redigendo una serie di opere sulla Santa Trinità che sono risultate alquanto indigeste alla frangia più reazionaria del mondo cristiano, Bernardo in testa. Non so dirvi, in tutta onestà, quali siano precisamente i punti su cui Abelardo si allontani maggiormente dal nostro credo, poiché non sono io stesso particolarmente versato nella scienza dialettica. So solo che, con i tempi che corrono, una posizione originale in materia di Padre, Figlio e Spirito Santo può costare molto cara.
Per i nemici delle novità come Bernardo, tutto ciò che si discosta dalla tradizione rischia di incrinare la vera fede, di sobillare la comunità cristiana e, quel che è peggio, di edificare terreno fertile per il proliferare dell’eresia. O si crede o si pensa. Questa è la logica della fede che trova in Bernardo il suo più convinto paladino.
Ma finalmente s’apre il concilio! Pietro Abelardo comincia a muoversi tra la folla. È ormai un anziano maestro e la sua andatura un po’ claudicante lascia indovinare gli strascichi della sua antica ferita. L’amore costa davvero caro a volte. Intorno gli si fanno i suoi discepoli, accorsi numerosi per l’occasione. Le esortazioni e gli incitamenti si sprecano, ma in realtà nessuno dubita che il vecchio leone sappia ancora come si morde; la parola e il pensiero sono sempre affilati e quando si tratta di disputare Abelardo non teme nessuno. A suo confronto Bernardo è un avversario di modesta caratura, e lo stesso abate ne è ben consapevole.
I più maliziosi vociferano di un mutuo previo accordo tra Bernardo e i vescovi del concilio, già convinti e intenzionati a condannare l’opera di Abelardo senza dare adito a un vero confronto (da cui, ragionevolmente, uscirebbero notevolmente ridimensionati dalla perizia del brillante maestro). E non finisce qui. La macchina del fango, per mezzo di roboanti e mirate epistole, sembrerebbe aver già coinvolto persino Papa Innocenzo II, messo al corrente dell’incresciosa situazione e persuaso da Bernardo ad agire per il miglior interesse della Chiesa. Quindi contro Abelardo.
Le voci, almeno a giudicare dall’andamento del processo, sembrano fondate. Ben poche sono le occasioni lasciate ad Abelardo per spiegare e difendere le sue posizioni. Sulla sua testa grandinano accuse d’empietà ed eresia e nessuno sembra davvero interessato a un sincero scambio di vedute. C’è spazio solo per la condanna.
Maestro Pietro coglie l’antifona. È un duro colpo per lui – non il primo della sua turbolenta vita, a onor del vero – , ma per questa volta mette da parte l’orgoglio e decide di fare un passo indietro prima che la situazione si faccia troppo rovente. Si rimette, in buonafede ma ignaro delle trame sotterranee intessute da Bernardo, all’autorità del Papa e abbandona il concilio.
Qualcosa mi dice che questa sarà l’ultima volta che avremo la possibilità di vederlo in una pubblica disputa. Cosa ne sarà dell’uomo non saprei dire, ma sulla sua eredità sento di potermi sbilanciare. Che venga condannato o meno, il suo pensiero eserciterà sempre un fascino immenso; lo ritengo quasi il filosofo per eccellenza. La sua fiducia e il suo amore per la ragione ne fanno un monito ai logici della posterità, e chiunque deciderà di mettersi un giorno in cammino verso una verità a guisa e misura d’uomo, saprà di farlo nel solco tracciato da Maestro Pietro Abelardo.
Senza nascondere un moto d’orgoglio, posso dire di essere uno dei testimoni della sua leggenda. Che certamente non si conclude oggi, qui, a Sens sotto lo sguardo torvo del suo austero nemico.