FILOSOFIA: LA CONOSCENZA È APPROSSIMAZIONE?
Una delle problematiche che il pensiero filosofico ha affrontato fin dai suoi esordi è la determinazione della natura della conoscenza. Determinazione che si intreccia fin da subito con quella ontologica: se conoscere è sempre un conoscere qualcosa, resta da capire quanto questo qualcosa sia dipendente dalla batteria di conoscenze costruite intorno al dato oggetto e, d’altra parte, quanto lo stesso qualcosa si sganci dalle possibili teorie per diventare sostrato e fonte di ogni teorizzazione di sorta.
A tal riguardo, il pensiero greco in primis, seguito dalla tradizione scolastica e poi dall’approccio epistemologico che ha sostanziato la rivoluzione scientifica del Seicento, hanno tentato di sviluppare modelli che potessero rendere ragione della domanda di fondo. Difatti, i due grandi padri della tradizione filosofica, Parmenide ed Eraclito avevano incentrato le loro rispettive soluzioni su due binari paralleli: per il filosofo di Elea l’Essere (il qualcosa di prima) non è separato dal pensiero (= conoscenza) che si ha dell’essere. Nella perfetta isonomia di essere e pensiero, non si può avere conoscenza dell’Essere: si è conoscenza dell’Essere (essendo “conoscenza dell’Essere” Essere esso stesso). Di contro, l’Oscuro di Delfi presentava l’irrisanabile irriducibilità dell’Essere al sapere: a rigore non si può avere nemmeno conoscenza dell’Essere, essendo esso la continua trasformazione delle sue manifestazioni. L’Essere non è il sapere dal momento che “conoscenza dell’Essere” è Essere tanto quanto la sua controparte polemica – nel senso etimologico – “ignoranza dell’Essere”. E se per Parmenide entrambi i lati sono Essere nella loro binaria contrapposizione (0;1. Anche se ad essere precisi il suo è un binarismo non binario, ovvero un digitalismo non binario: 1;1), per Eraclito lo sono nella loro ruotazione (esattamente il movimento della ruota): 1;-1. Da qui la natura parallela delle proposte: monismi in conflitto.
Da questi estremi, i cosiddetti pluralisti hanno cercato di ricondurre la questione entro i confini di una pluralità di principi: da Empedocle agli atomisti il tentativo di cogliere unità e molteplicità in ambito fisiologico – etimologicamente inteso – aveva preso avvio. Sintesi però dei due grandi maestri verrà iniziata ad opera di quei due colossi filosofici: Platone e Aristotele. Qui è esploso il questionare su quell’oggetto particolare che è la teoria della conoscenza nei suoi rapporti con il discorso sull’Essere: epistemologia e ontologia.
Scrive Aristotele nell’Etica Nicomachea, II, 1104a 3-9
Ciò che rientra nel campo della prassi e dell’utile non ha nulla di stabile, come non lo ha nemmeno ciò che rientra nel campo della medicina. E se i discorsi in universale hanno queste caratteristiche, il discorso sui casi singoli mancherà anche più di precisione, infatti il discorso sul caso singolo non rientra in nessuna arte né in alcuna serie di precetti, ma è necessario, sempre, che chi agisce prenda in esame ciò che riguarda l’occasione presente, proprio come si dà nel caso della medicina e dell’arte del pilota.
La conoscenza dell’universale, ovvero la conoscenza ontologica (e ricordiamo come per Aristotele la metafisica, somma scienza teoretica, non sia solo ontologia, ma anche usiologia, discorso sulla sostanza; aitiologia, trattazione delle cause; teologia speculazione su Dio), una volta esposta al lato pratico si trova a dover mediare la sua purezza astratta con l’impurità della concretezza. In questo processo perde la sua infallibilità, la sua cristallina validità concettuale nell’applicarsi al caso particolare, a quella singolarità eventiva cui non può che essere legata. Non a caso l’esempio è quello dell’arte medica: esprime una convergenza di natura tra filosofo e medico che trova almeno due grandi interpreti:
- Ippocrate in primo luogo, nell’affermazione che il medico dovesse essere filosofo e come tale il più simile possibile alla divinità. Essere simile alla divinità significa conoscere le cose nella loro particolarità, nell’essere eccezione e nell’essere costituite peculiarmente;
- Platone, quello del Teeteto, in cui viene ripresa la definizione ippocratica portando il filosofo ad essere simile al dio «per quanto possibile» (il famoso κατά τό δυνατόν)
Il richiamo alla natura divina del filosofo, nel senso che il suo è un impegno che incarna un trascendimento della quotidianità umana e non nel senso di un indiamento del filosofo, di un farsi Dio (lo scarto ontologico è garantito dal κατά τό δυνατόν), è indizio della profonda natura antropologica del discorso filosofico – per quanto possa sembrare paradossale – ma di una antropologia non-umanista (per usare categorie di pensiero attuali): antropologia è la mediana tra epistemologia e ontologia. Trovata così la diagonale incommensurabile che costò nella leggenda la vita a Ippaso (ma meno leggendariamente a Socrate), la domanda divenne: a quale tipo di conoscenza può ambire l’uomo? Se la conoscenza è triangolata dalla matematica irrazionalità della diagonale che l’uomo è, è possibile avanzare sul terreno della conoscenza in maniera indubitabile, chiara e distinta? Insomma, è possibile la scienza?
Essa si presenta come un sapere sì certo, ma pur sempre incompleto. In quanto επιστήμη è scire per causas, conoscere attraverso le cause, consapevole però che una piena conoscenza causale sia in fondo impossibile. Per questo, e soprattutto se spostiamo l’attenzione sul lato spiccatamente pratico delle nostre conoscenze, risulta inevitabile un fondo di incompletezza: la scienza è inerentemente approssimativa. L’approssimazione è allora il più alto grado di sapere cui l’uomo possa tendere. Ora, è esattamente questa teoria dell’approssimazione che rende ben poca giustizia al questionare filosofico, e ciò per alcune motivazioni:
- l’approssimazione è un’ottima teoria strutturata su di una sostanziale quantificabilità. Se la conoscenza fosse risolta nella facoltà calcolativa allora l’approssimazione sarebbe una virtù tra le più importanti impedendo una chiusura del calcolo. Se la conoscenza fosse quantitativa allora si sarebbe trovato il criterio tanto epistemologico quanto ontologico. Peccato che la conoscenza filosofica tematizzi la Realtà non solo quantitativamente ma, e soprattutto, qualitativamente: l’aspetto della qualità è esattamente ciò che impedisce un collasso epistemologico dell’ontologia;
- collasso che trova nel processo di modellizzazione il suo punto archimedico. La rivoluzione scientifica del Seicento ha reso possibile un processo sempre più preciso di astrazione e di modellizzazione epistemologico (sebbene, la sperimentazione abbia agito come argine all’astrattismo scientifico di cartesiana memoria) con i quali descrivere la Realtà. Processo che ha rappresentato il punto di partenza per un descrizionismo dai contorni prescrittivi. A stretto giro di posta, tale prescrittivismo naturalistico si è saldato con il solidale principio filosofico di matrice scolastica dell’adaequatio rei et intellectus;
- il tema dell’adaequatio risulta essere dirimente: cosa si adegua a cosa? La teoria alla cosa o la cosa alla teoria? Se la teoria si adeguasse alla cosa a venir meno sarebbe l’impegno teorico che varrebbe fintanto che il fattore esplicativo della teoria sia saliente: molto più semplicemente, sarebbe valido fino a prova contraria. Se il qualcosa si adeguasse alla teoria, per converso, ricadrebbe nel costruzionismo tipico della capacità massima di formalizzazione cosa che, come correttamente ha sancito Hegel nelle sue Lezioni sulla Storia della Filosofia, ben dista dal lavoro speculativo che si addice al filosofo.
Da quanto osservato, risulta allora patente come l’approssimazione, se permette una descrizione più o meno precisa – essa stessa approssimata, ma non approssimativa – della conoscenza scientifica, al contempo ne segnala la più ampia distanza da ciò che si vuole intendere con la scienza filosofica. A rimarcare il fatto, i principi dell’adaequatio mostrano un’inevitabile perdita di quella dissimmetria che si ottiene allorché si raggiunga il livello speculativo (e ricordiamoci del fatto che allo specchio il riflesso si inverte: destra-sinistra, sinistra-destra). Tutto ciò pertanto dovrebbe fare propendere per un superamento di un adeguamento che solo forzatamente rende conto della realtà (perché la realtà solo assai debolmente rende conto delle differenti strutture adeguanti), in vista di una comprensione non maggiore estensivamente, ma decisamente più precisa intensivamente: l’univocità dell’Essere.
Contrapposta all’adaequatio e alla sua fondazione analogica – la dottrina dell’analogia entis di stampo aristotelico-tomista afferma la pluralità semantica di affermazione dell’essere, la cui individualità verrebbe preservata dalla predicazione analogica: gli enti sono analogamente essere, ma differenti per essenza – l’univocità dell’Essere nega la polivocità di stampo aristotelico-tomista: l’Essere si dice nell’unico modo in cui si possa dire essere ed è proprio a partire da questa indifferenza fondamentale che si rende possibile conoscere il qualcosa nei suoi qualcosa – ovverosia nella pluralità che inerisce all’unità. Unità che non è più il fine e la fine di un processo da raggiungere o da cui partire, seguendo quel modello verticalizzante della deduzione universale-particolari o dell’induzione particolari-universale, ma quella spinta narrativo-deduttiva orizzontale che dall’universale passa all’universale dei suoi modi singolari. Approssimare, in questo sfondo, è conoscere le cose nella loro Zuhandenheit, l’essere-a-portata-di-mano pratico-pragmatica: è epistemologia, pragmatica; è l’istruzione per l’uso. È analoga e si adegua. Ma spezza l’unità dell’essere nella molteplicità della sue sfere applicative. Per questo, riconoscendo la natura ontologica dell’epistemologia, l’univocità dell’Essere ovvia alla parcellizzazione frantumatrice e permette il raggiungimento della scienza, quella filosofica, nel coglimento delle molteplicità singolari.
@ILLUS. IN EVIDENZA by FRANCESCA PROVETTI, 2020
SCHEMA NEL CORPO DEL TESTO by G.E.O.M., 2021
L’immagine in evidenza è l’opera Run throught, olio su tela, cm. 100 × 100, 2020, disponibile e visionabile presso il Provetti ArtStudio, Monza.
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