JASPERS: SFIDA DEL NICHILISMO E IMPEGNO FILOSOFICO
La stesura di una logica filosofica (Philosophische Logik) come presa di coscienza del proprio esser-filosofo, progetto che Jaspers aveva in mente già a partire dai primi anni Venti, prima ancora della stesura di Philosophie, è un’impresa filosofica di vasto impegno, il cui interesse etico, politico, teoretico e religioso sono racchiusi in un’unica ricerca senza sosta delle origini. A carattere preliminare, si può affermare che per logica filosofica si intende la filosofia stessa, nel suo articolarsi e nel suo strutturarsi; sarebbe la logica della filosofia, utilizzando il termine logica in un’accezione propria al senso comune. Insomma, la logica filosofica risponderebbe alla domanda possibile: “come opera la filosofia?”
Presentandosi come etica del pensiero, come pensiero aperto alla totalità e come pensiero delle origini coinvolgente l’uomo nella sua interezza, può essere considerata come una risposta possibile al nichilismo e alla mentalità nichilistica che ha caratterizzato, e che per diversi tratti contrassegna ancora oggi, il pensiero filosofico e non (politico, scientifico, religioso). E ne è una risposta possibile per due ordini di ragioni: innanzitutto, è un’alternativa al nichilismo, un riconoscerne gli errori, un esorcizzarne lo spettro. La logica filosofica sarebbe allora l’antidoto alla dirompente forza distruttiva, concentrata eminentemente sulla pars destruens, del nichilismo; è una risposta al nichilismo in veste di annichilimento, un oltrepassare e ricostruire le macerie; una risposta positiva ad un nichilismo inteso autopresentantesi come esclusiva negazione. La logica filosofica ne fornirebbe il sorpasso, il perfezionamento e l’altra via. Tuttavia, una risposta tale può essere adeguata esclusivamente se ci si sofferma alla superficie di ciò che può essere definito nichilismo; ciò che Nietzsche ha profeticamente preconizzato non può essere anestetizzato come negatività pura e semplice, né tanto meno è fecondo (e per di più ingenuamente anacronistico) opporre un robusto contro-sistema della costruzione al delirio dell’abisso dell’annientamento totale. L’indifferenza ad ogni valore propria del nichilismo nietscheano può trasformarsi in motore di attrazione per la pletora dei senza fede disperati destinati a scivolare nel nichilismo troppo-vuoto del vortice del buco nero onnifagocitante, oppure, nella vuotezza della disperazione assoluta, ad aggrapparsi ad una fanatica fede-superstizione come nichilismo troppo-pieno del dogma assoluto. Così può affermare Jaspers in Nietzsche e il cristianesimo:
[l]a disperazione insita in questa indifferenza nei confronti di qualsiasi valore, espressa da Nietzsche in tal modo, diventa un motore di attrazione per tutti gli uomini privi di fede, tanto nel caso in cui finiscano con lo sfrenare i loro istinti del momento, quanto nel caso in cui approdino ad una fede disperata, rivolta contro il proprio nulla, al fanatismo dell’aggrapparsi-a-qualcosa» (p. 119).
Secondariamente, è una risposta nel senso del risponderne: cogliere cioè la sfida lanciata da Nietzsche e dal suo nichilismo in ottica positiva, come possibilità per il futuro, come possibilità per l’uomo di raggiungere se stesso. Il nichilismo assurgerebbe così a spartiacque fondamentale della storia; sarebbe la realizzazione di quella κρίσις nella sua più recondita fecondità.
Non è casuale che due grandi filosofi come Nietzsche e Kierkegaard, due vere eccezioni dei tempi moderni, due pensatori della crisi, abbiano riposto grande importanza al concetto di possibilità. La crisi come vero spartiacque storico, come trampolino di lancio per il nuovo; nella crisi è possibile scorgere, seppur di lontano, quel futuro che per noi lettori di Nietzsche, oggi, a oltre un secolo dalla sua scomparsa, è il passato delle nostre famiglie, la radice da cui proveniamo. Ma non solo; dal momento che il filosofo dello Zarathustra non parlò soltanto del secolo a lui venturo, ma anche del secolo che noi, oggi, stiamo vivendo e che noi, ma forse maggiormente i nostri figli, vivranno. Saper leggere le crisi, e poi sbagliare diagnosi, o per lo meno, imbastire una terapia inadeguata è stato ciò che Nietzsche ha compiuto in vita. Jaspers non ne ha ripreso la terapia, neanche la diagnosi tout court, ma si è perfettamente reso conto di quanto Nietzsche ci avesse visto lungo. La logica filosofica è figlia dell’aver preso sul serio il nichilismo, sottoposto ad indagine critico-teorica e critico-empirica, per ri-cominciare a filosofare non per dimenticarsi del nichilismo, ma a partire da esso, non per costruire una stabile dottrina anti-nichilista, ma per trovare, forse meglio ancora, ri-trovare una sistematica aperta contro-nichilista che non deve e che non può, in realtà, fare a meno dello squillo di tromba nichilista.
Il nichilismo è una grande possibilità, non è una maledizione dei tempi moderni, ma il dispositivo di autosalvataggio che il mondo moderno, figlio, probabilmente in molti casi a sua insaputa, della Weltanschauung cristiana (almeno nella lettura che Jaspers fornisce del rapporto tra il filosofo del martello con il cristianesimo), nella sua ostinata volontà di verità e volontà di veridicità, ha sviluppato nella sua storia e che ora (all’epoca di Nietzsche, ma in fondo anche ora, all’inizio del XXI secolo), come ogni nodo, giunge al pettine. La logica filosofica ne è lo sviluppo delle possibilità intrinseche e in quanto tale non ne è un semplicistico e sterile superamento, quanto più la realizzazione delle prospettive profetizzate.
Ma, si potrebbe chiedere, che cosa accomuna nichilismo e logica filosofica? Il fatto che quest’ultima ne sia la realizzazione come assunzione della responsabilità dello spazio aperto e sgomberato dal primo è sufficiente? Esiste un legame ancora più profondo, intimo, che tocca al cuore entrambe le manifestazioni di un filosofare possibile? Credo che la risposta possa essere affermativa e mi è parso di scorgerla tra le belle pagine, dedicate proprio al tema del nichilismo da Hans Küng (1928-2021) uno dei teologi cattolici più controversi (a ben vedere, quindi, un’eccezione), nel suo Dio esiste?. Cito:
[m]a il nichilismo non è soltanto un modo di pensare: esso non è soltanto una “contemplazione della vanità”, non è “soltanto la convinzione che ogni cosa meriti di andare in rovina”, al contrario si esige la prassi: “Si pon mano all’opera, si manda in rovina […]. Ciò è, se si vuole, illogico; ma il nichilista non crede alla costrizione di essere logico […]. L’annichilamento mediante la mano asseconda l’annichilamento mediante il giudizio” [Frammenti postumi 1887-1888]. In questo lento e complesso processo di distruzione della morale mediante l’azione – uno spettacolo in cento atti, secondo Nietzsche – non si deve usare alcun riguardo agli uomini, a se stessi o agli atri. Non si deve esitare “a fare sacrifici umani, a correre ogni pericolo, ad assumere su di sé ogni cosa cattiva e pessima: la grande passione” (p. 525).
Dovrebbe apparire un po’ più chiaro, a questo puto, il tratto che accomuna nichilismo e logica filosofica: entrambi sono pensieri che coinvolgono l’essere-uomo nella sua interezza, senza fare sconti; sono pensieri complessi e pericolosi perché richiedono molto al pensatore e al lettore; non hanno ‘impatto zero’. Entrambi fanno piazza pulita e liberano l’orizzonte, si presentano come sapere della totalità, consapevoli di non poterla mai raggiungere. Sono pensieri impossibili da portare alle estreme conseguenze e pretenderlo sarebbe profondamente erroneo e irresponsabile. La logica filosofica è l’interlocutrice privilegiata del nichilismo, l’altra faccia della stessa medaglia che riesce a fluidificare le riottose forzature nichilistico-negative in possibilità logico-positive. Ma non basta; centrale per entrambe le manifestazioni del filosofare è la riflessione sulla verità, a partire dalla verità.
Un nichilismo figurato come rifiuto assoluto di ogni valore, come mancanza di senso e valore della realtà, come prospettivismo becero, come non-vero sprofondare nella spirale dell’abisso assorbi-luce, come assenza totale di ogni verità, in quanto si è in presenza dell’assenza della Verità (morte di Dio) è lettura superficiale, tanto quanto pensare a Nietzsche come un sostitutore dei vecchi ordini morali con nuove tavole valoriali, ossia valori naturalistici. Il nichilismo è molto più complesso; esso ha a che fare direttamente con la verità, riceve da essa lo stimolo al raggiungimento della sua verità; verità del nichilismo è la responsabilità di fronte al vuoto creato dalla morte di Dio, è la possibilità aperta dalla distruzione, è il rischio sempre presente e costante del mettersi in gioco, è la decisione suprema.
Erroneamente vale l’identificazione del nichilismo con la mancanza di fiducia (come fa Hans Küng) propria dei nostri tempi e prima ancora di quelli di Nietzsche; paradossalmente il nichilismo è la forma estrema della fiducia dei e nei tempi moderni perché inveramento delle più genuine prospettive in essi contenute. Probabilmente è questo che ha spinto Jaspers ad assumersi la responsabilità del nichilismo, di un oltre-nichilismo in polarità con esso, di un oltre-nichilismo che si presenta non come dottrina opposta e vincente sull’oscuro nemico, ma come possibilità per poter ricominciare, per fornire una speranza, una via, paziente, per fuoriuscire dal labirinto oscuro di un nichilismo eretto a fede universale. Se nell’annuncio (perché compie solo annunci: annuncio della morte di Dio, annuncio della venuta del superuomo, annuncio della rovina della Verità) del filosofo dello Zarathustra Dio è morto, non per questo la Verità non ipostatizzata metafisicamente è necessariamente venuta meno; e sarà proprio a partire da una nuova concezione della metafisica (ben espressa nel terzo volume di Philosophie, intitolato, assai significativamente, Metafisica) e, ad essa strettamente correlata, una rinnovata visione della Verità che l’impianto della logica filosofica, o quantomeno del primo volume pubblicato, potrà trarre linfa vitale. Il tutto troverà piena tematizzazione grazie alla riflessione sulla verità come via e sul misterioso concetto, talmente enigmatico che l’espressione stessa ‘concetto’ risulta inadeguata, di Umgreifende.
Quanto può essere corretta l’interpretazione che il pensatore tedesco ci fornisce? Certo, viene spontaneo chiedersi come sia possibile interpretare correttamente il filosofare di un’eccezione; per questo credo essere di grande insegnamento le ultime righe di Nietzsche e il cristianesimo:
[d]i fronte agli uomini che si lasciano ingannare e sedurre dal suo pensiero egli lancia un grido micidiale: “A questi uomini di oggi non voglio essere luce, da loro non voglio essere chiamato luce. Costoro… li voglio accecare: lampo della mia sapienza! Cavagli gli occhi!” [Così parlò Zarathustra]. Non è un finale gentile quello con cui Nietzsche ci congeda. È come se si negasse a noi. Tutto viene riposto in noi. Vero è soltanto ciò che per mezzo di Nietzsche nasce da noi stessi (p. 141).
K. Jaspers, Nietzsche e il cristianesimo, sotto la curatela di G. Dolei, Marinotti, Milano 2008
H. Küng, Dio esiste?, nella traduzione di G. Moretto, Fazi Editore, Roma 2012.
L’immagine in evidenza è una rielaborazione allomerica degli aspetti di Rembrandt per intercessione di Wando.
@ILLUS. by WANDO, 2023