PERCHÉ VI È L’ESIGENZA DI UNA FONDAZIONE DELLA “VERITÀ ETICA”?
Estratto di A. Zhok, Il senso dei valori. Fenomenologia, etica, politica, Mimesis, Milano-Udine 2024 – tratto da Prologo. L’epoca dello svuotamento di senso, p. 17-31.
Quanto minore la disponibilità di un orientamento condiviso, di criteri di giudizio comuni, tanto maggiore la confusione morale, lo spazio per il conflitto e per la coazione. L’esigenza di fondazione etica è un fattore storicamente diffuso, ma la richiesta di una base razionalmente solida, capace di guidare l’azione umana, è cresciuta nel mondo contemporaneo, a fronte di una crescente percezione di disorientamento e di un’incapacità di trovare criteri condivisi per normare e giudicare i comportamenti.
Questa situazione di disorientamento non è una condizione normale, non è semplicemente “parte della condizione umana”. Nonostante l’odierna tendenza a generalizzare in modo astorico e ad immaginare che non vi sia niente di nuovo sotto il sole, questa condizione di sbandamento si presenta come un aspetto caratterizzante di alcune epoche storiche, e in modo specifico dello sviluppo della modernità occidentale negli ultimi tre secoli. Quel processo storico-culturale che Nietzsche ha catturato con le espressioni “nichilismo” e “morte di Dio” ha portato alla luce forme di disorientamento etico inedite per estensione e radicalità, qualcosa che in passato era stato solo occasionalmente, e in modo circoscritto, il sottoprodotto di crisi epocali. Possiamo trovare i tratti di significative “crisi di senso” nella riflessione ellenistica, coincidente con l’indebolimento della città-stato greca, oppure nell’involuzione del tardo impero romano (dove però a quella crisi si accompagnava l’ascesa di un sostituto etico potente, come il cristianesimo). Quelle “crisi etiche” non sono però comparabili con gli sviluppi che hanno caratterizzato gli ultimi secoli nel mondo occidentale, non foss’altro perché erano crisi che riguardavano prevalentemente ristrette élite e la loro visione del mondo, mentre il processo contemporaneo è una destabilizzazione generalizzata all’intera popolazione (quantomeno con riferimento alla popolazione occidentale).
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Il processo di secolarizzazione, che si avvia in concomitanza con la razionalizzazione illuminista e con l’imporsi del modo di produzione capitalistico, è un processo che si espande progressivamente sia in ampiezza, estendendosi dall’isola britannica e dalla Francia a tutta Europa, sia in profondità, toccando gradualmente fasce sempre più ampie di popolazione, fino ad abbracciare sostanzialmente ogni livello culturale e sociale nel mondo occidentale. […] Tale processo ha prodotto una costellazione di modifiche nell’ontologia, epistemologia ed etica dominanti. Le più note, e giustamente celebrate, hanno riguardato la sfera epistemologica, i criteri di verità, la metodologia scientifica, dove ha preso piede quella forma di sapere tecnoscientifico che, a partire dal XVIII secolo, è divenuta la più potente e accreditata forma di sapere. Ma per quanto cruciale, questo mutamento non è stato il più radicale. La sua radicalità si manifesta pienamente nel momento in cui coinvolge la sfera etica e quella ontologica, dando forma a una serie di fratture inedite nella concettualità comune e nelle pratiche sociali, che andiamo a ricordare.
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Nella cornice della modernità occidentale il soggetto individuale ricevette una caratterizzazione peculiare e nuova: l’individuo iniziò ad essere immaginato come di principio “autofondato”, come ontologicamente irriducibile in un modo che sembrerebbe collocarlo al di fuori di ogni rapporto di dipendenza dalla natura, dalla cultura e da ogni dimensione trascendente. Questo posizionamento, pur cresciuto sulle premesse della classicità greco-romana, ne è chiaramente distinto; esso non è riconducibile allo statuto dell’individuo nella grecità classica (…), né allo statuto della persona e dell’anima individuale nel contesto del cristianesimo (e più in generale delle “religioni del Libro”).
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Questo spostamento verso un soggettivismo individualista si correla necessariamente con un mutamento nelle relazioni con gli altri. Il soggetto umano è ora immaginabile come idealmente privo di inerenze sociali, comunitarie, famigliari. Questa mossa tende a collocare l’individuo al di fuori di ogni eredità di senso, sia rispetto al passato che rispetto al futuro: esso tende a non ereditare nessun valore o significato, né a lasciarne in eredità. Tutto ciò comporta un fondamentale indebolimento della dimensione normativa dell’etica, giacché la normatività umana è connessa innanzitutto alla sfera intersoggettiva delle aspettative, delle richieste, delle raccomandazioni e dei comandi. Non a caso, l’etica (sfera dell’ἦϑος [ethos, N. d. C.]), così come la morale (sfera del mos) nominano etimologicamente il costume tradizionale condiviso e le componenti normative (comandamenti, massime, tabù, ecc.) che il gruppo sociale di appartenenza di ciascun individuo ha adottato e rinforzato nel tempo.
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La centralità dell’individuo nella modernità non è centralità del soggetto personale né della sua identità. Entrambe le teorie morali che dominano la modernità postilluminista, tanto il formalismo della ragione di Kant che l’edonismo utilitarista, tendono a svuotare il soggetto di ogni identità personale.
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[L]a sfera di ciò che ha valore è stata rinchiusa in una dimensione privata (l’intenzione morale kantiana o l’approvazione senziente del piacere), mentre il soggetto che incarnava tale sfera interiore è stato svuotato (spersonalizzato). In parallelo con questo processo a parte subjecti si è assistito, a parte objecti, ad uno svuotamento di valore della natura. Questo secondo processo è esemplificabile nell’introduzione della distinzione tra “qualità primarie” (estensione, moto, peso, ecc.) e “qualità secondarie” (sensorialmente percepibili), ponendo le prime come ontologicamente autentiche e le seconde come meramente soggettive e dunque irreali. Immaginare che ciò che è autenticamente reale stia al di là del mondo percepibile e al di là di ogni relazione con la soggettività che siamo, immaginare che l’essenza del mondo sia metrico-quantitativa, mentre tutto ciò che avvertiamo come affezioni primarie (colori, sapori, ma anche impulsi, desideri, speranze, ecc.) sia in qualche modo “illusorio” è uno stravolgimento ontologico di enorme portata.
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Il mondo è iniziato ad apparire come una distesa di “mezzi” a disposizione, di strumenti potenziali indifferenti a senso e valore. Questo processo è stato nominato variamente: come “disincantamento”, come “secolarizzazione”, come “disanimazione” (Entseelung) del mondo. Esso viene spesso spiegato nei termini di un abbandono della scienza ‘qualitativa’ e della ‘teleologia’ aristotelica a favore di una scienza quantitativa e meccanicistica. Ma ciò che è avvenuto è molto più profondo e grave di un mutamento di paradigma scientifico.
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Questa trasformazione ontologica ha comportato simultaneamente una dislocazione della natura e una della coscienza. Da un lato (…) la natura è divenuta il regno dei mezzi, dove ha avuto luogo una triplice riduzione: dei complessi alle parti elementari (atomizzazione), della qualità a quantità, delle forme causali alla sola causalità efficiente. Dall’altro lato, la soggettività cosciente è stata fatta scomparire dal piano ontologico con una sorta di gioco di prestigio, concependo il soggetto stesso come un oggetto tra gli altri. Dopo aver ricoperto l’immensa varietà delle sensazioni, dei sentimenti, dei significati e dei valori con una coltre uniformante (il piacere utilitarista) che ne ha spento le qualità, la coscienza – ciò per cui si danno oggetti – è stata spostata essa stessa tra gli oggetti di natura. Quest’operazione di fatto abolisce ogni specificità della sfera coscienziale, giacché tra gli oggetti di natura, analizzabili e quantificabili, non possono esistere “cose” come progetti, speranze, dubbi, intenzioni, preferenze, ecc. Questa mossa è ciò che caratterizza il cosiddetto “obiettivismo”. Il mondo diventa una grande “cosa”, una “cosa onnicomprensiva”, dove si trovano come cose tra altre cose i soggetti (animali umani, cervelli). Il “punto di vista” da cui il mondo appare (ciò che tradizionalmente sarebbe stato monopolio dello sguardo di Dio) scompare dalla tavolozza ontologica. Ci sono cose che appaiono, ma non c’è nessuna coscienza cui appaiono, ci sono cose immaginate, ma non c’è nessuna coscienza che immagina.
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Il processo storico incarnato dalla modernità occidentale (dalla ragione liberale) è caratterizzato dal privilegio conferito all’acquisizione di potenza. La ricerca di un incremento nella capacità di controllo sul proprio ambiente – e dunque di potenza – è qualcosa di radicato nella natura umana, ma ciò cui la cultura occidentale ha dato luogo è qualcosa di specifico, una sua crescita esponenziale, non moderata da altre istanze. L’Occidente si è affacciato alla storia del mondo come “potenza”, con effetti macroscopici verso le aree del mondo che non avevano preso quella strada, avviando un processo di conquista, assimilazione, assoggettamento, colonizzazione. (…) Negli ultimi due secoli, a partire dal mondo occidentale, abbiamo assistito ad una sorta di baratto (o contrappasso), dove alla crescita della potenza tecnoscientifica ha fatto da contraltare un progressivo svuotamento di senso. Nei termini elaborati da Nietzsche la “volontà di potenza” è cresciuta in parallelo con il “nichilismo”, con l’erosione del senso e del valore. La destabilizzante pericolosità di questo processo storico – che aveva già dato prova di sé nel trentennio 1914-1945 – inizia a profilarsi appieno solo nella nostra epoca.
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Sul piano storico un processo animato in modo preponderante dall’espansione della potenza (della tecnica, del dominio dei mezzi) e che si è espresso storicamente come espansione militare (imperialismo) ed economica (globalismo), non è orientato da null’altro che non sia la propria crescita. Forme di vita in cui una sfera assiologica (etica o estetica) ha la priorità tendono a perseguire modelli di “compiutezza” o “equilibrio” (così fu nel mondo greco, come in gran parte della storia cinese), al contrario una forma di vita che ha come spinta propulsiva primaria la semplice acquisizione di potere si comporta, per così dire, come un virus: può cambiare veste costantemente, mutando liberamente identità, purché ciò gli consenta di diffondersi illimitatamente. (…)
Il carattere nichilista di questo movimento assegna a chi lo abita un compito di ricerca: una ricerca di fondazione. (…) Dunque, se il problema posto dal collasso moderno della sfera valoriale è ciò che è stato evocato come “nichilismo”, la soluzione cui esso chiama è una fondazione etico-ontologica. Specificamente, nelle condizioni poste dalla modernità, tale fondazione dev’essere di tipo razionale, cioè deve prendere la forma di una verità, innanzitutto una “verità etica”. Il compito di tale verità è innanzitutto quello di portare alla luce le fonti della sensatezza dell’agire e di ordinarle. Questo è il compito cui ci accostiamo nelle pagine a seguire.”
@ILLUS. by FRANCENSTEIN, 2024
IL SENSO DEI VALORI