SAN FAUSTINO: IL GIORNO DELL’IPOTENUSA
Il giorno dopo è sempre un giorno particolare. È il giorno dell’esito, del ripensamento, del rimpianto; della nostalgia come dell’euforia e del rilassamento. Il giorno dopo è tale perché si connette direttamente in una serie di eventi di cui ne è l’attuazione, la risultanza (somma, quoto o quoziente che sia) la cui natura risultante la pone in relazione con il giorno prima (o i giorni prima), prima solo a partire dal giorno dopo. Diventa un concetto relazionale: la relazione che si instaura tra un precedente e il conseguente nella serie si inanella nella direttrice temporale prima-dopo, salvo poi accorgersi che tale direttrice andrebbe logicamente invertita: dal dopo al prima (che senza il dopo manco sarebbe). Ma ora questo discorso non ci interessa. Il 15 febbraio è il giorno dopo un giorno prima speciale e completo, sferico e androgino: San Valentino.
Già la parola androgino, però, dovrebbe far pensare che qualcosa non torna. Ora, San Valentino è il giorno in cui si celebrano gli innamorati, l’amore che unisce e lega, il filo rosso invisibile, ma comunque rosso (passione, sangue, amore), che fa di due (individui) uno. È il giorno dell’unione, del trait d’union che collega e relaziona, che performa l’uno dal due. Un antico mito, posto in bocca ad un vecchio commediografo greco, Aristofane, dall’allora giovane Platone, ci racconta come stavano le cose. Un tempo, molto prima che il dopo del racconto, l’essere umano non era così come lo conosciamo ora; non esistevano uomini o donne, soltanto organismi perfetti, sferici, materici: non mancava loro nulla e la ricerca della completezza era inerentemente esclusa. Zeus, invidioso (nel mondo greco gli dei erano molto invidiosi degli uomini) di cotal perfezione e consapevole dell’inutilità in cui sarebbero cascati gli dei, decise di tagliarli a metà, di separarli (e sai che guadagno aggiuntivo! Non solo ne limitava il potere, ma riceveva pure doppi sacrifici!). Da quel momento uomo e donna si cercano, si trovano (forse) e dal due tornano all’uno, mediante quel fil rouge che è l’amore.
Ma si sa, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi (cosa che, ovviamente, Zeus non poteva sapere!). Separando l’androgino (l’essere perfetto uomo-donna), il sovrano degli dei inventò il triangolo! Pensiamo un attimo: due per diventare uno necessita di un processo, di un percorso; necessita di un vettore che conduca dal due e lo congiunga all’uno. Se uno è un cateto e due è l’altro cateto, fare del due uno, ricondurre il due all’uno vuol dire collegarli, far ponte, sorreggere il passaggio: l’ipotenusa. Lasciam perdere la geometria. Una cosa però ci ha insegnato; che per l’uno, per fare del due l’uno, è necessario il tre.
(Piccola parentesi di geometria: le radici geometriche che si studiano a scuola in greco si chiamavano δυνάμεις (dynameis), potenze [minuscola parentesi aritmetica {cosa è più aritmetico di una parentesi quadra?}: la potenza è l’inverso della radice quadrata: cosa è più potente di un termine che dice potenza e si legge radice quadrata?] e servivano proprio per calcolare il valore dell’ipotenusa che in quanto tre, numero collegante, era irrazionale e, almeno razionalmente, incommensurabile).
Ecco il dono inaspettato e non voluto di Zeus: l’amore, il tre, è possibile solo come ipotenusa, come ponte-tra: da Poros e Penia nacque Eros e da Eros si generò il giudizio, ossia la capacità sintattica dell’unificazione, della copula. Copulare è il dono inaspettato e imprevisto di Zeus, la Τύχη (Tuche) superiore che lo ha gabbato. Perché copulare è l’assegnazione dell’intreccio, nell’intreccio; è la congiunzione del soggetto con il predicato, è quella piccolissima particella greca, quel verbo sintetico ἐστί (estí) = è, che unisce e fa dei due (il soggetto e il predicato) il predicato di un soggetto e il soggetto di un predicato (genitivo di pertinenza, ma non inerente, quello è l’è-ὑπάρχειν (l’è-uparchein).
Ma questo esito sorprendente lo si è potuto captare solamente il giorno dopo, quando il tre aveva già fatto irruzione. Perché, ci si potrebbe chiedere, il mito dell’androgino è stato messo in bocca ad Aristofane, il commediografo che non aveva risparmiato critiche asperrime a Socrate, maestro del giovane Platone? Forse perché Aristofane è stato l’autore della Lisistrata, commedia nota per lo sciopero della copula da parte delle donne che impongono un regime di divisione (ritornare ad essere due; in questo le donne dimostrano di essere molto più perspicaci di Zeus, non a caso, un uomo; e di saperne una più del diavolo per giunta!) talmente efficace da ottenere il risultato sperato: la cessazione delle guerre. I miti Platone non li ha mai utilizzati alla leggera; per Luc Brisson il mito sarebbe la forma estetica, immaginifica (la copula per intenderci), di una idea, di un concetto lungi dall’essere percepibile (αἴσθησις (aisthesis) per l’appunto): la copula, cioè la giunzione logico-ontologico, il ponte metafisico, la συμπλοκή (symploké).
Ecco il giorno dopo, il giorno scoppiato, il giorno-ipotenusa che va ad intrudersi nella coppia del giorno prima. Ironia della Lisistrata (per questo il discorso sull’androgino è stato messo in bocca ad Aristofane?): proprio la mancanza, lo scioglimento del filo (e il conseguente scioglimento degli eserciti), il frammento singolare ha l’effetto di copula; solo nella dissimmetria del tre, dell’irrazionalità dell’ipotenusa si può copulare. E dal momento che la causa va ricercata a partire dall’effetto e il dopo si fa tale nel fare il prima di cui è il dopo, così il due non può farsi uno senza il tre, esattamente come San Valentino non può essere il giorno delle coppie senza quel San Faustino a fungere da ipotenusa.
Per le riflessioni sulla natura del triangolo e sulle grandezze irrazionali ho tratto ispirazione dal bel libro di Gaetano Chiurazzi, Dynamis. Ontologia dell’incommensurabile, Guerini, Milano 2017.
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