SEVERINO E LA CRITICA CANTINIANA
L’articolo che segue è la trasposizione di un commento, troppo lungo per essere lasciato nello spazio preposto, di Davide Cantino, Magister Damnatus, all’articolo su Emanuele Severino, Doctor Implacabilis, di Pietro Caiano, Destiny Kid, il quale commemorava il proprio Maestro (LINK>>>).
Ho studiato a fondo Emanuele Severino. Ho scritto di lui e del suo pensiero. Personalmente piango anch’io la scomparsa di un grande filosofo ma, in quanto desistenzialista, depreco lo sforzo pensante di Severino; egli risolve il dilemma ontalgico (dolore dell’essere come dolore di esistere) alla luce di una consolazione fideistica para-cristiana. Dopo Nietzsche non possiamo più illuderci, circa il potere imbonitore delle filosofie illusionistiche, cioè le filosofie che illudono (come il Cristianesimo) circa la soluzione dell’ONTALGIA.
In Risposta alla Chiesa (1971) Emanuele Severino pone la ‘domanda delle domande’:
«Il senso fondamentale di ogni salvezza richiede il tramonto del ‘mondo’ e dell’evento in cui l’uomo diventa un mortale. In quale misura è consentito l’accadimento della salvezza? A quale altro accadimento è legato l’accadimento della salvezza?»
[Emanuele Severino: Essenza del nichilismo / Risposta alla Chiesa – Adelphi, Milano 1982 – pag. 383]
In Risposta a Severino (2018) Davide Cantino ri-pone la ‘risposta delle risposte’:
«Il senso fondamentale di ogni salvezza richiede il tramonto dell’uomo e dell’evento in cui l’uomo diventa un mortale: il concepimento. L’accadimento della salvezza è consentito nella misura in cui l’Umanità saprà sacrificare il proprio istinto di riproduzione autoimponendosi di non concepire più esseri umani. L’accadimento della salvezza è infatti legato unicamente al definitivo tramonto degli esseri umani dal ‘mondo’».
Nella nota (89) a piè pagina (383) Severino ri-pro-pone l’inquietante interrogativo – «In quale misura è consentito l’accadimento della salvezza? A quale altro accadimento è legato l’accadimento della salvezza?» – annotando che «Queste domande restano senza risposta.» «La testimonianza della verità dell’essere sa il contenuto fondamentale della salvezza – il tramonto del ‘mondo’ e dell’isolamento della terra –, ma non sa che cosa debba accadere affinché la salvezza accada…» (ibidem, pag. 383).
Lo sa il desistenzialismo, che cosa debba accadere affinché la “salvezza” accada: deve accadere che, non procreando più per un’intera generazione, l’Umanità tramonti per sempre dall’orizzonte di questo ‘mondo’ lasciando l’Essere trascendentale dell’Apparire necessario nel Panorama sconfinato di un inconcepibile ma possibile non apparire capace di smentire quell’odiosa parmenidea verità secondo la quale l’Essere è (e non può non essere) il ‘Mandante’ supremo al quale non si può dire di no, “Colui” per il quale gli esseri umani non sarebbero che fidi ‘esecutori materiali’ della catena di montaggio ontologica, cioè della catena di produzione degli stessi esseri umani; in realtà, gli umani possono benissimo rifiutarsi di eseguire gli ordini iniqui del loro presunto ‘Mandante’ e la parola di Anassimandro può tranquillamente essere smascherata, smentita, sbugiardata da una Giustizia assai più giusta di quella greca presocratica: la Giustizia che non giustizia gli esseri (umani) facendoli scomparire solo per permettere ad altri esseri (umani) di comparire.
Chi l’ha detto, che gli umani che ancora non (ci) sono muoiano dalla voglia di venire a questo ‘mondo’? Chi l’ha detto, che gli umani non vedano l’ora di venire al ‘mondo’ per giocare il cruento azzardo del mors tua vita mea che giustiziando l’uno consente all’altro di commettere la medesima ingiustizia di esistere commessa dall’uno stesso? Che cos’è, questa assurda Giustizia di un Essere Infinito che TIENE I CONTI con i quali degli ingiusti esseri finiti devono FARE I CONTI? Come si può, pensare che «il divenire è la dimensione inospitale in cui l’opposizione esige che il sopravvivere dell’opposto sia pagato col suo morire…»? – così come Severino pensa e scrive ne La parola di Anassimandro (1963) [Emanuele Severino: Essenza del nichilismo / La parola di Anassimandro – Adelphi, Milano 1982 – pag. 404]. Se l’esistere dell’essere umano è una dimensione inospitale, come in effetti è, perché ostinarsi a legittimarla come ingiustizia nel nome di una Giustizia che, di contro, «accoglie in egual modo gli opposti e in egual modo ne custodisce l’essere.»? (ibidem, pagg. 404-405). Solo perché l’ha detto Anassimandro dev’essere vero, che accettare di essere giustiziati è il modo più giusto di… lasciar essere gli altri? come se gli altri veramente volessero essere!
Non è ad Anassimandro, o ad uno qualsiasi degli altri filosofi greci, o italiani, che il pensiero desistenziale dà ascolto, bensì all’uomo comune: a quello che, innanzitutto e perlopiù, stanco di vivere, si lagna spesso dicendo che «essere non è niente di “trascendentale”»; a questo uomo semplice il desistenzialismo dà retta, non al complicato ‘Essere infinito’ di un Apparire che comanda, spietatamente, inesorabilmente il comparire e lo scomparire degli esseri finiti. Il desistente mira una madre che non ha mai voluto diventare madre, mira un padre che non ha mai voluto diventare padre, e li ammira, li rimira quando li sente dire: «Guardate, guardate: lo vedete che non c’è, mio figlio? lo vedete che non ci sono, i nostri figli? Andatelo a dire a Severino, affinché possa rivedere e correggere la sua filosofia: andateglielo a dire, che l’Apparire sempiterno può non apparire in eterno! E che questa è una Giustizia assai più vera di quella di Anassimandro, o di Parmenide, o di Eraclito, o di chicchessia…».
Per capire che Emanuele Severino non approverebbe affatto il pensiero desistenziale, se lo conoscesse (?), basta leggere l’articolo che egli stesso scrisse per il «Corriere della Sera» del 28 giugno 2002 intervenendo nel delicato dibattito sulla fecondazione eterologa, a quell’epoca svoltosi nel Parlamento italiano con gran trepidazione dei cattolici, come si può immaginare; con il titolo Cari cattolici, ripensateci: meglio nascere il suddetto articolo fu poi incluso, tre anni dopo, in un libro – il cui titolo rivelerò fra poco –, nel quale si legge che
«Tutti gli uomini che Dio non crea, pur essendo libero di crearli, rimangono definitivamente nel nulla. E così rimangono nel nulla tutti gli esseri umani che i coniugi non vogliono generare. Ma per tutti questi non nati, non sarebbe stato meglio nascere, piuttosto che rimanere definitivamente nulla?».
La risposta di Severino è, ovviamente: meglio nascere. Il libro, al quale facevo cenno poche righe fa, fu pubblicato dalla casa editrice Rizzoli nel 2005 e s’intitolava, manco a dirlo, Nascere. Meglio nascere fu, puta caso, il titolo dato al Capitolo I della Parte sesta, contenente l’articolo in esame.
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Grassettature e ri-editing di eddymanciox.
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Disputa sul Nulla
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Pietro Caiano ha risposto a questo commento e ad altre considerazioni del Cantino.
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