LA QUESTIONE DELLA TECNICA
La domanda intorno all’essenza della tecnica è annosa quanto l’uomo. Filosoficamente è Martin Heidegger che offre uno spunto teoreticamente nodale, attraverso un’impalcatura concettuale e lessicale che merita nondimeno talune osservazioni.
Ne La questione della tecnica del 1953, il filosofo tedesco parla appunto della tecnica moderna come provocazione, nel senso di una procedura orientata a estrarre l’energia del mondo per metterla allo scoperto, immagazzinarla e trasformarla. Ebbene in questo senso la natura diventa niente altro che un insieme di forze calcolabili e il reale, precisa ancora Heidegger, passa da oggetto a fondo. La fine dell’oggetto, di ciò che sta di fronte e si contrappone al soggetto, genera nondimeno un appiattimento ontologico dell’uomo sul reale, trasformando egli stesso in fondo, in un ente indifferenziato.
Ma per quale motivo, nel discorso sulla tecnica, il reale diventa fondo e l’uomo precipita in questo pericolo di indifferenziazione? Perché l’essenza della tecnica, chiosa Heidegger, è il disvelamento dell’essere, la messa a nudo di quello che un tempo rappresentava una alterità misterica, e questo soltanto è il pericolo. Nella disvelatezza ogni cosa è inquadrata in un mero rapporto causale tutto diventa fondo e l’oggetto sparisce.
L’arcano della tecnica è dunque la verità incontrovertibile, quella che disvelando lo spazio sacro e indecifrabile dell’essere mette a nudo l’inconfutabile. Fine delle interpretazioni, fine della differenza, della divergenza e della diversità. È la tecnica che raggiunge a pieno titolo questo obiettivo, quello di mostrare verità, giungendo a scompaginare qualunque limite e qualunque fissità abbiano orientato la vita dell’uomo nel segno del limite. Il mito, la narrazione, la scrittura lasciano intendere, aprono mondi, suggeriscono interpretazioni; le immagini, vero prodotto e risultato della tecnica, spezzano invece questa continuità, rendono il mondo già visto e già avvenuto per la loro capacità intrinseca di riprodurre in tempo reale una verità indiscutibile.
In questa minaccia ontologica esiste uno spiraglio, una possibilità, ricorda Heidegger. Se l’essenza della tecnica è il disvelamento dell’essere, e le sue conseguenze sono nella verità incontrovertibile che rende anche l’uomo una parte indistinta del fondo, la via della salvezza è unicamente quella della domanda, la sola in grado di restituire valore al dubbio sopra ogni verità. È questo lo spazio dell’arte, della poesia, di tutte quelle forme che rinunciano alla verità per ripristinare una traccia di inconosciuto, un velamento. Interrogarsi sulla tecnica è una questione metafisica che resuscita la capacità di interrogarsi, di individuare quella zona d’ombra che non può essere portata alla luce della verità, ma che costituisce una parte essenziale dell’umano.
Perché, al netto di qualunque impietosa asserzione, «il domandare è la pietà del pensiero»[1].
[1] M. Heidegger, Die Frage nach der Technik (1953), trad. it. G. Vattimo, La questione della tecnica, goWare, Firenze, 2017, p. 61.
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